Arriva anche nelle sale italiane dal prossimo 21 Gennaio 2016 il nuovo film del regista Danny Boyle con un Michael Fassbender che, dopo Macbeth, da nuovamente conferma della sua bravura, con un cast importante da spalle ed uno sceneggiatore premio Oscar alle spalle. Arriva nei cinema Steve Jobs.
Steve Jobs
Seguiamo Steve Jobs (Michael Fassbender; Macbeth, X-Men: Giorni di un futuro passato) e la sua fedele assistente Joanna Hoffman (Kate Winslet; Carnage, The Divergen Series: Insurgent) attraversare il dietro le quinte di tre momenti storici per l’uomo Jobs: il 1984, il 1988 e il 1998. Questi momenti diverranno fondamentali per il suo successo professionale e per l’avanzamento della sua vita personale.
Trailer del film
Jobs 2.0
Dopo un piccolo film indipendente e sperimentale con protagonista l’allora compagna Rosario Dawson (In trance, 2013), Danny Boyle torna alla carica in un film dove è maggiormente ‘costretto’ ad un copione rigido, quale quello scritto dal premio Oscar (per The Social Network di D.Fincher) Aaron Sorkin, pregio e difetto della pellicola. Per chi si aspetta semplicemente un film migliore della prova (pessima) fatta da Aston Kutcher e Joshua Michael Stern, avrà da sorprendersi: Steve Jobs di Boyle fa un salto qualitativo netto e si discosta dal predecessore, grazie a scelte di stile e confezione ottime e che perfettamente si inseriscono nell’idea di Sorkin di questo ‘direttore d’orchestra’, di questo ‘eroe’ che decide come di rinunciare alla propria umanità per portare il proprio greggio verso l’ascensione e dunque il successo definitivo.
Pellicola e Copione
Le tre date scelte da Sorkin sono fondamentali: il 1984, l’anno di lancio del primo Machintosh; il 1988, l’anno di lancio del NeXT Computer, dopo il fallimento precedente; il 1998, anno di lancio del primo iMAC, svolta epocale per Jobs e l’Apple. Interessante scelta stilistica e fotografica; il primo segmento è stato girato in 16mm, il secondo in 35mm e il terzo in digitale.
Ritroviamo un Boyle che (rin)chiude il suo protagonista tanto quanto in 127 ore (2008) e, con una teatralità maggiore e un minore sperimentalismo sull’immagine, lo racconta in rapporto agli altri e in rapporto a se stesso. A questo punto entra poi la sceneggiatura di Sorkin, premio Oscar per The Social Network (2010) ma autore anche di film importanti come L’arte di Vincere (2011) o La guerra di Charlie Wilson (2007), che diventa forse la presenza più ingombrante quanto importante di una pellicola che grazie e per colpa sua decolla senza mai raggiungere le stelle: Sorkin mette ancora una volta in evidenza i rapporti umani, quello insalvabile con le donne e con i colleghi e gli amici e quello (centrale) con la figlia, che attraversa il tempo e l’unico che può (forse) rendere umana l’anima arida dell’uomo che, per amore delle sue idee e non (tanto) di soldi e successo, decide di omettere emotività e sentimenti in qualsiasi relazione e di puntare unicamente a donare al mondo la sua genialità, mettendo al tappeto ogni concorrente (Windows, anche citato, su tutti).
Ci troviamo di fronte ad un progetto molto teatrale, scandito in tre atti, dove il climax viene raggiunto nel dietro le quinte, con le (solite) lunghe camminate e dialoghi a-la-Sorkin che riescono però a mantenere sempre accesa l’attenzione e il ritmo, grazie anche all’utilizzo (azzeccato) della musica elettronica di Daniel Pemberton. Troviamo un Danny Boyle attento esecutore e silenzioso autore qui spalla di un solido copione e a favore di un cast in cui primeggia un Michael Fassbender sempre più bravo che riesce a restituire una figura più netta della (quasi) favola romanzata di Kutcher.