Uomo morto in marcia: Dead man walking

Il giovane Matthew Poncelet, ormai condannato a morte, vuole credere che esista un’ultima speranza. Scrive una lettera a Suor Helen che all’inizio nutre dei dubbi sull’innocenza del ragazzo e non accetta immediatamente di aiutarlo ad ottenere l’ergastolo in sostituzione  alla pena di morte. Si reca in carcere per incontrare il ragazzo che insieme al suo complice avrebbe ucciso ferocemente una coppia di fidanzati. La suora si lascia convincere e lotta per dimostrare l’innocenza del ragazzo. I tentativi sono inutili.

La data della pena di morte è confermata e Matthew è distrutto. La sceglie come sua consigliera spirituale fino al giorno della morte, per ricevere una guida e conforto fino al suo ultimo respiro. Alla fine confessa. È stato davvero lui il colpevole degli efferati omicidi  e con la confessione ottiene la libertà evangelica tanto agognata da suor Helen.

Critica

È un film del 1995 ma tratta di una tematica a quanto pare ancora attuale. Dead man walking, uomo morto in marcia, è l’espressione usata dai carcerieri per comunicare l’arrivo del condannato a morte.

La trama del film è molto semplice, nemmeno il colpo di scena finale colpisce più di tanto, ma se non avete nulla da fare e siete contrari alla pena di morte, allora dovete vedere il film. Scorre in maniera lenta e inesorabile.

Alcuni tratti del film sono davvero noiosi e ripetitivi, ma una cosa è certa: l’argomento trattato e le descrizioni dettagliate delle modalità di applicazione della pena di morte lasciano senza parole. La parte riflessiva di ognuno di noi emerge alla fine del film. Il tutto è ideato per suscitare un senso di disgusto e un disappunto verso la  pena di morte.

È giusto o non è giusto condannare alla pena di morte una persona che fino a poco tempo prima si credeva innocente? Tim Robbins, regista del film è contrario e si batte come attivista politico contro la pena di morte.

Susan Sarandon ha ottenuto l’Oscar come miglior attrice protagonista e il David di Donatello come miglior attrice straniera.  L’orso d’Argento è stato assegnato  a Sean Penn come miglior attore.

Un film commovente ed enfatico per riflettere sulla spietatezza della pena di morte dove non è importante colpevolezza o innocenza : si priva comunque la vita ad un essere umano che ha ucciso. Commettiamo lo stesso reato per cui perseguiamo il condannato. È giustizia?

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