Revenge, il thriller quasi splatter di Coralie Fargeat con Matilda Lutz

Nei cinema il 6 settembre Revenge, opera prima adrenalinica e sanguinaria della regista e sceneggiatrice francese Coralie Fargeat. Presentato in anteprima al Festival di Toronto 2017, il film ha riscosso un buon successo di pubblico e di critica in particolare negli Stati Uniti, anche grazie alla fotografia dai colori ipersaturi di Robrecht Heyvaert, al cast internazionale – dove spicca la protagonista, Matilda Lutz, attrice italo-americana già diventata iconica, affiancata dal belga Kevin Janssens e dal francese Vincent Colombe – e agli aspetti tra il surrealistico e il pulp movie stile Tarantino.

Revenge - poster

Revenge – locandina

Revenge

Un elicottero atterra nel deserto. Scende una bionda mozzafiato che si gusta voluttuosamente un lecca-lecca, con tanto di occhiali a montatura bianca per citare Lolita. Il suo ruolo è evidentemente di essere la bambolina-sexy del milionario Richard (Kevin Janssens), che si è concesso un week-end lontano da tutto e tutti (in particolare, moglie e figli) nella sua villa da sogno in mezzo al niente.

A disturbarlo mentre si trastulla col nuovo giocattolino in forma di Barbie vivente arrivano i suoi amici e soci, Stanley (Vincent Colombe) e Dimitri (Guillame Bouchède), che avrebbero dovuto raggiungerlo per il loro annuale raduno di caccia solo il giorno dopo. Richard, che voleva tenere nascosta Jen (Matilda Lutz) e la sua relazione con lei, si trova costretto ad accoglierli in casa e passare insieme a loro una notte a base di alcool (molto) e danze sensuali (qualcuna). Stanley tenta di alzare ulteriormente l’indice di trasgressione della serata offrendo a Richard della droga, del peyote. Lui (saggiamente) rifiuta, mentre Jen approfitta della distrazione per appropriarsene e nasconderla nel suo medaglione, forse con l’idea di usarla dopo con il suo “amato”. La ragazza si diverte anche a provocare il suo bel e atletico milionario, strusciandosi lascivamente contro l’amico Stanley, che ben volentieri si presta. Richard apprezza, la prende di peso in spalle e la porta in camera, per terminare a due la festa.

La mattina dopo Jen si sveglia da sola: Richard è andato in città a sbrigare delle faccende burocratiche, e in casa sono rimasti i suoi due amici. Stan si sente autorizzato a riscuotere ciò che il ballo seducente della notte prima gli aveva fatto immaginare: il suo momento di trastullo col giocattolino. Il fatto che il “giocattolo” abbia una sua volontà e non sia d’accordo non lo sfiora neanche per un attimo, e quando lei tenta di ribellarsi, la violenta, quasi sotto gli occhi del suo compagno Dimitri, che sceglie semplicemente di non guardare – chiude la porta, alza il volume della tele, si fa un bagno in piscina, e il gioco è fatto.

Quando Richard torna, tenta di rimediare al tutto pagando la ragazza. Jen rifiuta sdegnata e commette il grave errore di minacciarlo di raccontare tutto a sua moglie se lui non chiama l’elicottero e la riporta a casa. A quel punto cade la maschera, Richard smette di essere l’amorevole boyfriend e la schiaffeggia tanto forte da farle perdere i sensi. Poi, quando lei scappa, la spinge giù da un dirupo. Fine del problema.

Ma Jen ha più vite di un gatto e, pur se rimasta letteralmente impalata sul ramo di un albero provvidamente presente nel precipizio, riesce ad andarsene trasformandosi in una Rambo in gonnella pronta a giustiziare i suoi carnefici, braccandoli come loro tentano di fare con lei, una volta scoperto che è ancora viva.

Un rape & revenge movie tra il surreale e il cartoon

Fino al momento in cui la bella Jen non viene scaraventata giù dallo strapiombo, Revenge ha un andamento realistico, crudo ed efficace nel tratteggiare i preamboli di quello che potrebbe essere un fatto di cronaca dei tanti che purtroppo succedono. Certo, ci sono i colori saturi e caricati, c’è la ragazza col fisico da pin up e gli orecchini a stella rosa fucsia anni ’80, la villa con le grandi vetrate (anch’esse colorate) e i personaggi un po’ stereotipati, che contribuiscono a creare un ambiente simil-fumetto pop. Gli attori sembrano scelti per rappresentare dei “tipi”, delle categorie: Richard il Ken atletico, vincente, maschio alfa dominante col mascellone alla Ridge di Beautiful; Stanley l’amico un po’ loser, l’eterno secondo che rosica, il vigliacco che fa la voce grossa solo quando crede di poter sopraffare l’avversario ma quando non ne è sicuro si nasconde dietro il dito in preda al panico; Dimitri l’amico tontolone, più interessato a mangiare che al resto, quello che ti porti dietro alle feste per non andare solo ma poi rischi di dimenticarlo lì senza accorgertene, che però a volte nasconde una rabbia repressa insospettata e insospettabile; e infine Jen, la bambolina dal fisico perfetto, sexy, ammiccante, puro oggetto sessuale da usare come tale e, quando il tutto si complica, gettare via senza ripensamenti.

Revenge - Mathilde Lutz

Revenge – Matilda Lutz

Richard usa anche frasi classiche da uomo-sposato-con-amante, “se non avessi i bambini, se tu non avessi questo bel culo”, e lei il suo bel didietro lo sventola impunemente mostrandolo per casa e pur tutta la durata del film. Jen ama sedurre e giocare col fuoco, è gratificata dallo sguardo degli uomini su di lei e si diverte a provocarli. Come una qualsiasi ragazza della sua età, col suo fisico e il suo aspetto, probabilmente farebbe. Il travisare le sue innocue provocazioni, considerandole un lasciapassare a utilizzarla come semplice sex-toy, al di là del suo volere e nonostante stia chiedendo – stia pregando e supplicando – che la smetta è una altrettanto classica e purtroppo molto veritiera descrizione di ciò che di norma costituisce l’antefatto di uno stupro. Così come l’assenza di reazione dell’amico, che preferisce voltarsi e lasciar fare, e la reazione dell’amante – che dimostra palesemente quanto lui stesso non considerasse la ragazza, al di là delle vacue parole, niente più dell’equivalente di una bambola gonfiabile, di un passatempo senza complicazioni che tale deve restare.

Nonostante, quindi, alcuni dettagli che tradiscono la piega che prenderà il seguito, il preambolo di Revenge potrebbe tutto sommato attestarsi su un piano quasi di verosimiglianza. Il registro, però, cambia completamente nel momento in cui Jen, impalata come una vittima sacrificale sul ramo dell’albero, riapre gli occhi. Rinasce a una nuova vita, che è appunto la vendetta, la giustizia che avrebbe desiderato e che forse ha potuto solo immaginare.

Da quel punto preciso in poi, il film smette di interessarsi anche da lontano a un possibile realismo, nemmeno di superficie, per abbracciare con convinzione un genere più simile a quello di cui è maestro incontrastato Tarantino, il fumetto pop/pulp alla Kill Bill. E l’inverosimile prende piede.

Revenge - Jen

Revenge – Jen impalata

La nostra eroina rediviva perde abbastanza sangue da annegare svariate colonie di insetti che si trovano nei paraggi, riesce, pur se trapassata da parte a parte da un ramo d’albero della grandezza di un braccio, a dondolare per afferrare al volo un accendino fortuitamente (!) caduto al suo fianco, dar fuoco all’albero sotto di lei e così liberarsi senza carbonizzarsi (a dispetto della sua folta chioma che penzola a sfiorare pericolosamente il rovo). Con una capacità di guarigione che neanche Wolverine, l’ex-bambolona sexy si rimette in piedi, corre per mezzo deserto a piedi scalzi con un palo ancora ficcato nel fianco e la fa in barba ai tre omaccioni bravi solo a constatare che se ne era andata e non era più infilzata allo spiedo dove l’avevano graziosamente lasciata. Non paga, fa fuori per primo il più stupido dei tre, che in un attimo di orgoglio è in grado di reagire gridandole “pensavi che fossi così stupido??”, e il minuto dopo muore, confermando in effetti di esserlo (e non avendo quindi considerato che, nel tentare di annegarla con alla cinta un coltello, la vittima avrebbe potuto facilmente prendere il suddetto coltello e ficcarglielo nel corpo, ribaltando la situazione).

Diventata a questo punto la figlia mai nata ma che tanto avrebbero voluto Rambo &co, Jen cambia anche di connotati: sporca, con i capelli che ormai paiono neri, tanto sono pieni di fango e sangue, si aggira saltellando sul terreno rovente del deserto senza scarpe, con un reggiseno improvvisato modello Lara Croft e con un paio di slip che mantengano in primo piano, quanto più spesso possibile, il già citato deretano alla Belèn (Rodriguez, N.d.A.). Ormai come un super-eroe, Jen si auto-opera, prendendo prima il peyote nascosto a suo tempo dentro il medaglione – ché si sa, niente come il peyote ti rende lucido e ti aiuta a tagliarti da sola il ventre in cui stavi allegramente trasportando un tronco d’albero che ti aveva trapassato il corpo. Poiché la ragazza, oltre ad avere più vite di un gatto, la capacità d’incisione di un chirurgo provetto e la sopportazione di un fachiro professionista, è anche un genio, decide di cauterizzare la ferita (da cui – di nuovo – usciva copioso qualche ettolitro di sangue) con – di necessità virtù – una lattina di birra tagliata trovata nello zaino del primo, tra i suoi assaltatori, di cui si era vendicata. Per sua fortuna non è una birra Moretti, e conseguentemente le lascia un gradevole marchio stampato a fuoco sulla pancia (e sulla schiena, misteri della fede) con un’aquila ad ali spiegate che fa la sua figura.

Revenge - scene

Revenge – Jen e Richard

Segue profusione di splatter vario ed eventuale, vetri conficcati in piedi ed estratti senza lasciare spazio all’immaginazione, orecchie che saltano, incubi di teste esplose a ripetizione, bagni di sangue che la moglie di Richard dovrebbe lasciarlo, non foss’altro, per come le ha conciato il divano, scivolate su quello stesso sangue distribuito a fiotti: insomma, di tutto, di più, con momenti talmente forti da rischiare il voltastomaco per i più sensibili.  Coralie Fargeat non ci risparmia nulla, calcando così tanto la mano che l’esagerazione fa perdere il senso del film e arriva, in alcuni momenti, a sfiorare il ridicolo (uno su tutti, quello in cui Richard si arrabbia istericamente contro Stan perché non spegne “l’aria condizionata, che inquina”; ma ce ne sono altri).

L’azione si mantiene, però, piuttosto incalzante, tanto che lo spettatore resta in bilico tra i momenti in cui l’eccessiva resa fumettistica causa un crollo nella sospensione dell’incredulità e quelli in cui la suspense e il susseguirsi degli eventi riaccendono l’attenzione e il coinvolgimento emotivo.

Revenge - Mathilda Lutz Jen

Revenge – Jen, la protagonista

Bilancio finale di Revenge

Forse risente di essere un’opera prima, con qualche surplus non ben dosato che ne inficia il risultato finale: troppo sangue, troppo cartoon, troppo Vendicatrice solitaria che si strappa la veste della Lolita sexy e diventa spietata survivor dalla resistenza sovraumana. Però. Nonostante tutti limiti, Revenge si fa vedere. A volte a occhi chiusi, per le scene troppo forti, che lo hanno fatto classificare come quasi horror. A volte con un sorriso, perché gli aspetti irrealistici sono davvero esagerati. Ma comunque fino alla fine. Quando lo sguardo in macchina di Matilda Lutz fa comprendere che è nata una stella, rosa fucsia come l’orecchino che continua a indossare. Quasi fosse il suo simbolo da supereroina. Quasi fosse la nuova rivincita – ipercruenta e post #Metoo – delle bionde. Altro che bamboline.

One Response

  1. Monica

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