Life itself è un biografic picture (un documentario biografico), un genere piuttosto di nicchia riservato per raccontare solo i personaggi storici, politici o del mondo della cultura, tra i più importanti. Questo onore è toccato anche a Roger Ebert (1942-2013) giornalista e critico cinematografico tra i più attivi mediaticamente al mondo, il primo critico cinematografico ad aver vinto il premio Pulitzer nel 1975.
Life itself
di Matteo Martinelli @Percorsi Up Arte
Il biopic, tratto dall’omonima autobiografia di Roger Ebert Life Itself del 2011, racconta a ritroso partendo dalla fine, la sua intera malattia, carriera e vita. Un cancro colpì Ebert a partire dal 2006 e nel 2012 Steve James, documentarista già candidato all’oscar per il bellissimo Hoop Dreams, chiede al giornalista di poterlo filmare per fare un documentare sulla sua vita.
Quando Roger accetta aveva già perso la voce (ricreata attraverso un software che rielaborava l’originale grazie ai suoi numerosissimi video) e la capacità di mangiare e bere per l’asportazione della mandibola, ma era comunque nel pieno uso delle proprie capacità mentali, tanto da non smettere con il lavoro, anzi spingendo proprio su quello per darsi forza, creando un blog che dal 2008 fu estremamente seguito.
Quindi nonostante le menomazioni, il critico da la propria disponibilità ad essere il protagonista di questo documentario, traformandolo in qualcosa di davvero speciale: si farà riprendere quasi fino alla fine, anche nei momenti più tragici.
Una vita per il cinema
Una vita dedicata al cinema non può che essere raccontata in tre atti, come nelle più classiche sceneggiature cinematografiche. Il racconto farà emergere attraverso le voci dei suoi amici, della adorata moglie Chaz, e degli artisti che lo hanno conosciuto e apprezzato, la figura di un intellettuale sui generis, una persona caparbia ed estremamente coerente, un uomo appassionato, ma anche un egocentrico e vanitoso.
Il primo atto, trattato in maniera leggera e rapida, racconta l’infanzia, la formazione e i primi anni dedicati al giornalismo, fino al momento del suo primo vero incarico professionale; il secondo atto è incentrato sulla maturità e la curva in perenne ascesa della sua popolarità, soprattutto grazie al programma televisivo condotto con il collega Gene Siskel, Sneak Preview, che ha rivoluzionato il linguaggio della critica cinematografica e del rapporto tra produzioni e critica; infine il terzo atto, quello più intenso ed emozionante: la malattia, o meglio, come Ebert ha affrontato la malattia.
Diversi i contributi da parte di star di Hollywood a cui le critiche di Roger Ebert hanno cambiato la vita, tra loro anche Martin Scorsese (produttore esecutivo del documentario), Ramin Bahrani e Werner Herzog.
Il documentario sostiene con un buon ritmo le quasi due ore piene di proiezione, dilungandosi un po’ troppo nella parte centrale, forse con troppi aneddoti relativi al periodo televisivo. Nonostante ciò, grazie alla modalità narrativa che alterna immagini, foto, infografiche, spezzoni di documenti video originali, interviste e documentazione girata con Ebert oltre che al montaggio dinamico, Life itself a mantenere sempre l’attenzione dello spettatore e alta la tensione emotiva.
Molto delicato ed efficace il racconto della malattia: James riesce a non cadere nella banalità, e a non cedere alla facile tentazione di puntare sulla commiserazione del pubblico. Particolarmente emozionanti le interviste alla giovane nipote del protagonista e a Martin Scorsese. Davvero toccante la descrizione del momento della morte di Ebert che ne fa la moglie, la quale riesce a trasmettere sensualità e serenità raccontando un episodio tanto tragico.
Life itself è un’opera potente che riesce a suscitare diversi spunti di riflessioni sul cinema, sulla critica e sulla vita in generale, nonostante qualche nota agiografica qua e la. Un’opera che vale la pena non perdersi. Dal 19 Febbraio al cinema.