In occasione della festa degli innamorati, rimandiamo di un giorno i nostri consueti aggiornamenti settimanali per riscoprire un film in tema del 2000: Tutto l’amore che c’è di e con Sergio Rubini e che vede tra gli interpreti Gérard Depardieu, Margherita Buy e Damiano Russo, il giovane attore amico di cinemio, prematuramente scomparso, a cui questa recensione è dedicata.
Tutto l’amore che c’è
di Francesca Barile
Carlo (Damiano Russo) detto Topo Gigio è un adolescente che vive in un piccolo paese dell’entroterra di Bari. Siamo nel 1975, in epoca tardo hippy ma al paesello i ragazzi, a parte i capelli lunghi e un look più casual non hanno raggiunto una sufficiente apertura mentale.
Piuttosto che frequentare i suoi coetanei, Carlo si lascia affascinare da un gruppo di ventenni tra cui spiccano lo studente universitario più colto, ma castrato dalla famiglia, il “bello”, il “comunista” barbuto che ha vissuto a Torino e ha lavorato in Fiat per dieci anni.
Un elemento di “stranezza” in più nella vita di Carletto è dato dal padre (Sergio Rubini), impiegato postale col pallino della recitazione che organizza in paese improbabili commedie coadiuvato dai suoi parenti. L’arrivo di una coppia monzese e in particolare delle tre figlie di questi finirà col creare profondi squilibri nella consolidata routine del paese dando la stura a un pesante confronto socio-culturale e originando addirittura un dramma…
Sergio Rubini in questo film del 2000 propone alcune tematiche a lui care: il paese natìo, la figura del padre a cui è molto legato, la voglia di libertà espressa nella metà degli anni Settanta da una gioventù ribelle ma con idee poco chiare in un paese pur vicino alla “metropoli” Bari sognata e millantata, ma ancora troppo arretrato e chiuso in posizione difensiva.
Ispirato vagamente a due capolavori del passato I basilischi di Lina Wertmuller ambientato in Puglia e I vitelloni una delle prime pellicole di Fellini, il film ne condivide diverse tematiche: il gruppo di amici scanzonati e con il complesso di Peter Pan tanto che paradossalmente il più maturo è proprio il più piccolo, l’immobilismo e nello stesso tempo il desiderio di scappare da un destino già scritto da altri.
La vicenda ha come filo rosso la figura del giovanissimo Carlo, interpretato con naturalezza dal giovane attore barese Damiano Russo, prematuramente scomparso nell’autunno 2011, il quale, come avvenne per Franco Interlenghi ne I vitelloni è la voce narrante sia pur silenziosa della storia.
I suoi occhi osservano e apprendono come una spugna. Il film è quindi un Bildungsroman, un romanzo di formazione che coinvolge tutti i giovani protagonisti nel passaggio dalla giovinezza alla maturità e alla consapevolezza, ‘passando dalle azioni del branco (si pensi alla lezione di sesso data a Carlo dagli amici più grandi e più “scafati”) a una maggiore interiorizzazione.
Interessante documento di un passato prossimo. Buona recitazione da parte di un cast affiatato tra cui spiccano in ruoli minori ma azzeccati Mariolina De Fano, aficionada alle pellicole di Rubini, un Depardieu doppiato in stretto dialetto nordbarese nel ruolo di uno zotico contadino anarchico e una attrice non professionista abilissima nella parte della mamma dello studentello. Consigliato.
In ricordo di Damiano
Ecco alcune clip del film nel quale compare Damiano Russo, allora appena sedicenne
emozionante