Recensioni film italiani: “Dalla vita in poi”

Ritroviamo ancora una volta il nostro inviato speciale Pasquale Mesiano. Oggi ci propone, in anteprima per cinemio, la recensione di Dalla vita in poi di Gianfrancesco Lazotti, con Cristiana Capotondi, Filippo Nigro e Nicoletta Romanoff da questa sera al cinema.

La locandina del film

La locandina del film

La trama

Rosalba (Nicoletta Romanoff) ama Danilo (Filippo Nigro), un ragazzo che dovrà trascorrere trenta anni in carcere per omicidio. Per alleviargli la sofferenza della detenzione decide di scrivergli ogni giorno una lettera, dolce, appassionata, lirica. Ma tradurre in parole i suoi sentimenti non le riesce facile e ricorre all’aiuto di Katia (Cristina Capotondi), la sua amica del cuore, costretta a vivere su una sedia a rotelle. Un gioco che ben presto si rivela pericoloso. Quelle emozioni, quegli slanci poetici pensati per Rosalba, col passare del tempo diventano suoi, così come sente che le appartengono le risposte appassionate di Danilo.

Rosalba nella sua discontinuità sentimentale lascia Danilo ma Katia, innamorata, decide di andarlo a trovare in carcere per vedere in viso il suo amore epistolare. Seguono diversi incontri e i due si scoprono realmente innamorati. Decidono di sposarsi, ma durante il primo permesso di libera uscita per incontrare la giovane moglie, Danilo scappa con la complicità proprio di Katia e Rosalba. Durante la fuga Danilo capisce che la latitanza non gli permetterà di rivedere Katia. Decide quindi di fermarsi e farsi catturare.

La recensione di Pasquale

Tratto da una storia vera, anche se modificata in molti punti per creare una sceneggiatura adatta al grande schermo. Ebbene si: Katia esiste e vive a Roma. Così come esistono Rosalba (il cui nome è però di fantasia) e Danilo. Diciamolo subito: è un film d’amore con la “A” maiuscola; di quelli che faranno battere il cuore e scendere la lacrimuccia anche al più duro dei duri. Ma soprattutto non è il solito film dolce e smielato con le stesse frasi melense trite e ritrite.

Cristiana Capotondi e Filippo Nigro

Cristiana Capotondi e Filippo Nigro

Ottima la sceneggiatura, stringata e senza fronzoli, con un pizzico di umorismo davvero azzeccato. Il cuore del film è l’affinità elettiva che nasce tra due persone recluse in prigioni differenti: Danilo tappato in una gabbia di ferro e cemento; Katia nella prigione di un corpo malato. I due trovano in questa difficile condizione l’elemento che li unisce.

Katia è eccezionale, una forte e grintosa ragazza costretta sulla sedia a rotelle dalla distrofia muscolare; la malattia non emerge mai come fattore peculiare e centrale del film. Sarebbe stato facile nella sceneggiatura rendere Katia una sorta di martire; invece la malattia è solo una condizione al contorno cui si deve adattare, ma alla quale non si arrende. Anzi è lei l’eroina, la persona forte a cui tutti si aggrappano. A cui tutti noi vorremmo assomigliare almeno un pò.

Cristiana Capotondi e Nicoletta Romanoff

Cristiana Capotondi e Nicoletta Romanoff

La sceneggiatura, come detto, è sicuramente ben riuscita, ma soprattutto gli attori sono tutti all’altezza del ruolo. Su tutti la brava ed elegante (e diciamolo pure…bella) Cristina Capotondi, che presta il volto a Katia. Un volto dolce, pulito che non le impedisce però di restituire sullo schermo tutta la forza e il coraggio di questo personaggio. Bravo anche Filippo Nigro (Danilo nel film) nella parte delicata del selvaggio dal cuore innamorato; un’interpretazione alla Steve McQueen (scusate il paragone): recitazione essenziale, come richiede il personaggio da lupo solitario, con grande intensità nello sguardo e nei movimenti.

Nicoletta Romanoff appare invece a tratti fuori ruolo; per non voler scadere troppo nella macchietta della borgatara romana finisce col sembrare un po’ timida nella parte. Menzione d’onore per Carlo Buccirosso esilarante nella parte del direttore napoletano del carcere romano; così com’è da segnalare la prova di Pino Insegno, davvero azzeccato nella parte della cattivissima guardia carceraria. Punto debole: i dialoghi. A mio avviso si è tolta un po’ di genuina veracità ai personaggi addolcendone eccessivamente la cadenza romana.

Carlo Buccirosso

Carlo Buccirosso

Forse per paura di essere provinciali si è persa quella nota di cuore che avrebbe avvicinato ancor di più il pubblico alla narrazione. Comunque un film da vedere assolutamente, soprattutto per chi non ha voglia di arrendersi alle avversità della vita.

2 Comments

  1. max

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