Settimo film in concorso al Sudestival 2018 è L’assoluto presente del regista Fabio Martina. In questo articolo l’intervista che il regista ci ha concesso in occasione della proiezione del suo film al festival.
Intervista al regista Fabio Martina
Ciao Fabio, benvenuto su cinemio. De L’assoluto presente, oltre che regista, sei anche autore di soggetto e sceneggiatura. Ci racconti la genesi del film e come sei arrivato alla decisione di voler raccontare, in un certo senso, il vuoto emotivo della generazione dei giovani di oggi?
Fabio Martina: Il film ha avuto la sua genesi nel 2007 in seguito all’accadimento di alcuni fatti di cronaca incentrati su episodi di violenza giovanile che non avevano apparentemente alcuna spiegazione plausibile, e non dimostravano neppure l’emergere di un senso di colpa da parte di chi l’aveva commesso.
I protagonisti erano sempre ragazzi adolescenti, di buona famiglia, abitanti del centro città, non affetti quindi dal disagio sociale tipico delle periferie. Senza entrare nei singoli casi, ero rimasto molto colpito da alcuni di essi, tanto che mi sono chiesto come fosse possibile che ciò potesse accadere e quali ne erano le vere ragioni.
Insieme ai due altri sceneggiatori, Massimo Donati e Alessandro Leone, abbiamo scritto il soggetto e la sceneggiatura.
Nello stesso tempo, ho iniziato un lavoro di indagine nel mondo degli adolescenti. Inscenando dei finti casting in scuole superiori, rivolgevo ai giovani e aspiranti attori domande riguardanti il loro mondo, i miti, i sogni e i desideri, le paure.
Ne è emersa un’immagine del loro universo fortemente precaria, privo di punti di riferimento affettivi, relazionali, progettuali. Intorno a loro aleggiava un vuoto difficilmente colmabile e comprensibile da noi adulti. Perché anche noi ne eravamo vittime ovviamente.
L’assoluto Presente, così lo ha chiamato il filosofo Umberto Galimberti, durante un’intervista che gli abbiamo fatto nel 2010: vivere il presente assoluto, senza curarsi del proprio futuro, non avendo più memoria del passato, era la condizione esistenziale che caratterizzava il nostro vivere quotidiano. Definizione che può avere un’accezione positiva richiamando alla mente il carpe diem, cogli intensamente l’attimo; in questo caso assolutamente negativa.
Mi sono allora chiesto quali fossero le cause di questa condizione. Leggendo libri e articoli, documentandomi, continuando ad intervistare i giovani, gli studiosi, filosofi, educatori, psicologi, mi sono costruito una mia idea. Il consumismo, l’omologazione culturale e il prevalere del pensiero unico di quegli anni avevano prodotto dei disvalori che avvelenavano gli spiriti, e i giovani, che posseggono meno barriere critiche e culturali di noi adulti, percepiscono la crisi senza mediazioni e sovrastrutture.
Tu vivi e lavori a Milano e questa città, da quanto ho capito, è protagonista anche dei tuoi film. Come mai questa scelta, in particolare nel caso de “L’assoluto presente”?
Fabio Martina: Milano è la capitale morale del paese: tutto ciò che succede a Milano riverbera nel resto del paese, per non dire nel resto d’Europa, se ben guardiamo gli esempi del passato. È una città estremamente interessante e importante per capire dove vanno le cose, è un peccato perdersela: i cambiamenti sociali, economici e culturali, sono immediatamente visibili e riscontrabili qui.
Poi Milano è la mia città, dove sono nato e che conosco bene, fa da sfondo a tutte le mie narrazioni. Il rapporto che ho con Milano è molto spesso conflittuale: nel 2007 quando stavo scrivendo il film, era una città insopportabile, invivibile, intollerante, incapace di liberare le energie represse e frustrate che sussistevano nella sua comunità.
Ora e da 5-6 anni fa, fortunatamente, non è più così: la città è profondamente cambiata, è migliorata, più accogliente e solidale, più attenta a chi ci vive quotidianamente. In questo momento il mio rapporto è di armonia e di pace.
Per dirvela tutta, le mie radici, di cui vado assolutamente fiero, sono pugliesi: i miei genitori e i miei parenti sono di Brindisi. Qui ho trascorso le estati felici della mia infanzia e adolescenza e sento un senso di appartenenza che non attribuisco a Milano. Mi piacerebbe vivere in Puglia prima o poi. Sicuramento sarà l’oggetto di un mio prossimo film.
Parliamo del cast, tutti attori giovani più o meno noti nel panorama cinematografico italiano. Come li hai scelti e come hai lavorato con loro per la costruzione del personaggio e soprattutto del’intesa tra loro?
Fabio Martina: Questo film ha avuto una gestazione di 10 anni, durante i quali ho cercato i finanziamenti e poi gli attori. Per trovare i protagonisti, ho fatto 1 anno di laboratori di espressione cinematografici in vari luoghi della città: centri di aggregazione giovanile, scuole di teatro e istituti di detenzione minorile. Non amo i casting e ancor di più per questo lavoro avevo bisogno di conoscere la realtà che avevo intenzione di raccontare.
Durante questi laboratori, i giovani partecipanti hanno avuto la possibilità di liberare e mettere in mostra davanti alla telecamera le proprie intime emozioni legate a vissuti ed esperienze personali, anche traumatiche. Per loro è stato catartico, terapeutico, andrebbe approfondito questo uso del mezzo.
Al termine di questo anno, ho scelto gli attori protagonisti, che corrispondevano emotivamente, psicologicamente e socialmente ai personaggi da interpretare. Il risultato più eclatante di questo lavoro è che il personaggio di Riccardino è Claudia Veronesi, una donna. Era l’unica in grado di raggiungere i vertici emotivi necessari al personaggio.
Poi, per 8 mesi ho lavorato con gli attori in maniera intensiva sulle emozioni e i vissuti e senza parlare dei personaggi se non a metà del percorso. Non conoscevano nemmeno la storia per intero. Solo due settimane prima di iniziare le riprese, ho dato loro la parte di sceneggiatura che li riguardava in modo che si concentrassero sul loro personaggio. A questo scopo, ho cercato il più possibile di girare in sequenza, scene per scena, in ordine cronologico.
Il risultato è che l’attore diventa veramente il personaggio e non recita più, lo vive, superando persino le mie indicazioni registiche, donandogli la vita. Questi giovani attori sono dei talenti straordinari dal mio punto di vista.
Il film è uscito, un po’ in sordina purtroppo, a dicembre dello scorso anno. Qual è stato il riscontro di pubblico e critica sul tuo film? Ci sono dei complimenti che hai particolarmente apprezzato?
Fabio Martina: È vero, il film è partito un po’ in sordina, visto che non aveva inizialmente nessuna programmazione e nessun distributore, essendo completamente indipendente e sapendo che molti film prodotti con ben altri budget non trovano la sala. Inoltre una gestazione così lunga rischiava di renderlo vecchio, obsoleto, rispetto alle intenzioni iniziali.
Però il suo percorso è stato miracoloso. In occasione di due proiezioni allo Cineteca di Milano durante un festival di opere prime, Il piccolo grande cinema, ha riscontrato apprezzamenti da parte del pubblico e del direttore della Cineteca, Matteo Pavesi, che ha deciso di programmarlo per tre settimane.
Così anche Lo Scrittoio, distributore milanese di cinema d’autore, ha deciso di seguire il film. E ora siamo qui al Sudestival. Tutto questo è straordinario. In effetti è l’apprezzamento del pubblico e della critica che lo sospinge. Con mia sorpresa, il film è giudicato molto attuale da chi lo ha visto e vengo contattato anche nei giorni successivi alla proiezione da spettatori che sono rimasti favorevolmente colpiti e che mi portano le loro riflessioni.
E per concludere uno sguardo al futuro: c’è già uno nuovo progetto nel cassetto? Ti va di parlarcene?
Fabio Martina: Ho vari progetti nel cassetto, di cui non parlerei per scaramanzia, visto che sono ancora in fase di sviluppo. Vi posso solo dire che hanno come tematica quella magnifica ossessione che è l’amore; non posso rivelare di più. Ho anche un progetto di film in Puglia, come vi dicevo. Mi piacerebbe raccontare le mie radici, impossessarmi narrativamente della mia terra.
Ringrazio Fabio Martina per la sua disponibilità e gli faccio, a nome della redazione di cinemio, un in bocca al lupo per il concorso del Sudestival.
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@Foto Credits Sudestival.org