“Anche l’uomo che ha puro il suo cuore, ed ogni giorno si raccoglie in preghiera, può diventar lupo se fiorisce l’aconito, e la luna piena splende la sera”.
È con questa poesia che lo sceneggiatore Kurt Siodmak, ne The Wolf Man di George Waggner del 1941, descrive l’angoscia del gentleman Lawrence Talbot, costretto ad affrontare il suo destino di uomo-lupo.
Continua la lettura della storia cinematografica dell’uomo licantropo.
Vittima della maledizione a causa del morso di un licantropo, egli, a sua volta, si trasforma in violenta creatura della notte quando in cielo splende la luna argentata.
È questo uno dei primi esempi di personaggi “mostruosamente umani” nella storia cinematografica.
“A Wolfman” – disegno di Alice Muratore
Questo è il vero primo “Licantropo cinematografico” della storia
La vicenda è più o meno la stessa dell’ultimo remake The Wolfman di Joe Johnston, uscito in questi giorni nelle sale italiane (la cui recensione del film) è stata ben impostata da Antonella Molinaro su questo blog ;).
Larry Talbot (Lon Chaney Jr) torna nella propria casa di campagna nei pressi di Londra, dopo un periodo d’assenza.
Spiando dalla finestra col telescopio del padre John (Claude Rains), rimane affascinato dalla bella Gwen Conliffe (Evelyn Ankers).
Insieme ad un’amica di lei, si dirigono la stessa sera verso una carovana di zingari, dove trovano la chiromante Maleva (Maria Ouspenskaya) ed il figlio Bela (interpretato dallo straordinario Bela Lugosi, già nella parte di Dracula nel film omonimo di Tod Browning, 1931).
Dopo essersi fatta leggere la mano, l’amica di Gwen fugge nella boscaglia, ma, sentendola gridare, Larry accorre e s’imbatte in un lupo (che si scoprirà essere Bela).
Questi, mordendolo prima di essere ucciso, condanna il giovane Talbot a quella stessa doppia identità, che lo porterà poi ad aggredire persino la donna che ama.
Tale tragica condizione avrà fine soltanto quando il padre John, non riconoscendolo, ucciderà il figlio, e così la bestia.
Quel primo licantropo, visto con gli occhi del nostro tempo, non terrorizza di certo granchè.
Ma ciò che in realtà Waggner fa emergere dal suo film, il cui protagonista è peraltro il figlio di una delle prime icone horror, Lon Chaney (Il gobbo di Notre Dame di Wallace Worseley del 1923; Il fantasma dell’Opera di Rupert Julian del 1925), è un uomo lacerato da una doppia personalità che non ha voluto né ha meritato.
Egli può solamente arrendersi alla violenza provocata dalla stella a cinque punte, che compare sulla mano delle sue prossime vittime (chiaro riferimento, questo, alla religione ebraica, professata dallo sceneggiatore Siodmak).
La mostruosità del suo destino viene poi sapientemente resa dal formidabile trucco ideato da Jack Pierce, che poco ha da invidiare agli effetti speciali dei nostri giorni.
A renderlo ancor più particolare è la tecnica utilizzata per le trasformazioni da uomo a lupo: i peli del costume, fatti di pelliccia di yak (grosso bue del Tibet, n.d.r.), vennero attaccati poco per volta, in modo da girare un fotogramma per ogni “fase” dell’attaccatura.
Per eseguire tale operazione, i truccatori impiegarono un giorno intero di lavoro, durante il quale Chaney rimase letteralmente inchiodato per evitare di rovinare tutto con il minimo movimento.
Il mito del licantropo compare, in verità, già nel Satyricon di Petronio, ma non ebbe poi molta diffusione nella letteratura seguente, come invece avvenne per quanto riguarda l’arte cinematografica.
Quando apparvero i primi “Lupi Mannari” al cinema?
I primi lupi mannari appaiono anche in alcune pellicole del cinema muto (ad esempio, in The Werewolf del 1913 di Henry MacRae, dove il ruolo della creatura ferina spetta ad una donna, Watuma, figlia di una strega), ma la forma del licantropo a cui siamo abituati viene proposta per la prima volta nel 1935, in Werewolf of London (“Il segreto del Tibet”) di Stuart Walker.
La trama del primo film dell’uomo lupo
La trama è un po’ diversa da quella delle repliche successive:
il botanico Glendon (Henry Hull) viene ferito da una spaventosa creatura nel corso di una spedizione sull’Himalaya, il cui scopo era la ricerca del raro fiore “marifasa lupina lumina” che cresce solo durante le notti di luna piena.
Una volta tornato a Londra, il misterioso dottor Yogami (Warner Oland), che si scoprirà essere la bestia che aveva aggredito Glendon in Tibet, cercherà di impadronirsi della pianta, poiché essa pare sia capace di curare la licantropia.
Yogami verrà però ucciso dal botanico, il quale si è trasformato, a sua volta, in lupo mannaro.
Come nel film di Waggner, il trucco viene curato dalla maestria di Jack Pierce, ma in questo caso appare assai più tenue; le trasformazioni in uomo-lupo vennero ottenute facendo passare la creatura dietro alcuni oggetti che lo potessero nascondere, in modo tale da poter effettuare in quegli istanti un taglio nell’azione.
Calcolando i successivi numerosi remake (cito solo il famoso Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis del 1981), possiamo affermare che la storia cinematografica è ormai colma di pellicole riguardanti questa inquietante creatura.
C’è da chiedersi allora se, dopo l’ennesima seppur buona versione, siamo stati sufficientemente spaventati da tutta quella pelliccia, o se ancora siamo così nostalgici e privi di memoria da desiderare ulteriori lupi-uomini, e viceversa.
molto interessante! 🙂
Alice, i miei complimenti per l’originalità del post, sono presenti davvero molte informazioni utili sull’origine dell’uomo lupo nella cinematografia.
Poi sono rimasto senza parole quando ho visto lo schizzo a matita del tuo primo piano di wolf, sei davvero brava!!
Ci puoi dire, anche se nadiamo fuori tema, quali studi hai seguito per raggiungere questi risultati?
Poi, da dove hai preso spunto, ispirazione per disegnare wolf?
Grazie
Complimenti Alice, un articolo spettacolare veramente, da vera professionista completo e appassionato e poi il disegno è veramente una chicchetta…
Ti ringrazio per tutte le informazioni che ci hai dato!
Complimenti Alice, un inizio alla grande, sei veramente brava, continua così ed avrai grandi soddisfazioni
beh grazie a tutti, davvero!
@mirko: sono andata semplicemente a riprendere e rileggere i testi che avevo studiato per gli esami di cinema all’università (ai tempi avevo passato le ore a curiosare nei libri della biblioteca, anche se non inerenti all’esame 🙂 ), nei quali ricordavo qualche chicca che m’aveva fatto sorridere (tipo la tecnica per l’attaccatura della pelliccia nel film di Waggner)
per il disegno invece mi sono ispirata ad una delle tante locandine del nuovo Wolfman…
@Alice:
i tuoi studi sono un’ottima fonte di ispirazione per scrivere delle chicche e delle curiosità, anche dal punto di vista storico e sociale, sul mondo della cinematografia.
Sarai una preziosa alleata per aumentare il valore di questo blog per appassionati del cinema.