Questo venerdì cinemio parla di un film già uscito da qualche settimana, ma che ci piaceva approfondire, visti i protagonisti: Sean Penn e Paolo Sorrentino non sono certo da sottovalutare, di cosa parla il loro ultimo lavoro?
Una piccola riflessione
di Fabio Nicolosi
“This must be the place”è un film stravagante e riflessivo. Inizio col dire che non è un film per tutti. Se guardi il film al cinema e non ti accorgi dei miracoli artistici delle inquadrature e della fotografia non apprezzerai mai a pieno questo film. E’ una pellicola che scorre lenta e sinuosa. La storia è incentrata su una ex rockstar, Cheyenne. E’ chiara e limpida la somiglianza con Robert Smith dei Cure (e qualcuno dice a Jhonny Depp in Edward mani di forbice).
La storia del film
Il film inizia mettendo in risalto la noia e la pesantezza della vita della rockstar. Alcune figure importanti vengono messe in evidenza in questo tratto di pellicola, come la moglie alla quale è molto affezionato.
Ad un certo punto il film riceve il primo scossone: gli giunge notizia che il padre sta morendo. Così la paura di volare viene sopraffatta dal dolore e Cheyenne parte.
Arriva troppo tardi: il padre è già morto. Si scopre che il padre ha dedicato la sua vita a trovare il suo aguzzino nazista, ancora vivo da qualche parte in America. Cheyenne, così, decide di andare a cercarlo. Inizia una parata di vita solitaria nell’entroterra degli Stati Uniti, celebrata dalla canzone dei Talking Heads che dà il titolo al film.
Da qui il film prende una piega più artistica, con uno Sean Penn straordinario. E’ lui che assicura un’esperienza da cinema stravagante, riflessivo e malinconico.
Cheyenne è stato studiato nei minimi dettagli da Paolo Sorrentino e interpretato al meglio dall’attore americano. Tristemente ed eternamente attaccato alla sua valigia con le rotelle, si imbatte in estranei di tutte le personalità, come Robert Plath, l’uomo che gli rivela dove dimora l’ex nazista. Quello che Cheyenne fà quando lo trova diventa il punto cruciale del suo diario di viaggio.