Recensioni film: Stanno tutti bene. Anche troppo.

Ho scritto questa recensione di “Stanno tutti bene“, pellicola di Kirk Jones ora nelle sale che vede un invecchiato De Niro alle prese con il difficile tema del ricongiungimento familiare, per il solo, unico motivo che, secondo me, non c’è molto da dire. Un paradosso? Forse, ma andiamo più a fondo.

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“Stanno tutti bene” è la storia di Frank Goode, un vedovo un po’ scontroso, con una rigida visione della vita, che trascorre le sue giornate in completa solitudine; cerca di riunire i suoi quattro figli attorno a una tavola imbandita ma non ci riesce a causa dei tanti impegni di ognuno. Decide così – nonostante i divieti del suo medico: Frank è affetto da fibrosi polmonare, per cui non può affaticarsi e deve assumere  costantemente farmaci – di partire e andare a trovare uno per uno i suoi “ragazzi”, con la reale convizione di trovarli tutti felicemente sistemati.

Prima tappa, New York. Qui vive David, il figlio con cui Frank non è mai riuscito a legare: nonostante la lunga attesa, i due non riescono ad incontrarsi e il viaggio continua. Seconda tappa, la casa di Amy: sua figlia, famosa pubblicitaria, vuole fargli credere di avere una vita coniugale tutta rose e fiori, ma chiaramente non è così.

Frank riparte, va a trovare Robert, il figlio di cui parla sempre come del “bravissimo direttore d’orchestra” (così gli aveva detto sua moglie): in realtà Robert suona sì in un’orchestra, ma come percussionista, e non ha mai voluto tentare di far carriera, andando contro tutti gli insegnamenti di suo padre,  che spronava i suoi figli a raggiungere il massimo successo. Ultimo tentativo: Rosie. Rosie è la figlia a cui è forse più affezionato, che lui crede ballerina; lei tenterà di ingannarlo, ma Frank capirà che la realtà è ben diversa. Rosie ha una figlia e la sua vita non è piena di paillettes e riflettori.

Insomma, Frank scopre che tutti, sua moglie compresa, gli avevano sempre mentito, per non deludere le sue aspettative; l’avevano sempre illuso: tutto era idealmente perfetto, degno del miglior American Dream; lui, semplice operaio che nella vita aveva realizzato kilometri di cavi telefonici, aveva una famiglia perfetta. Non nella realtà. Si trova quindi a dover riflettere sul suo ruolo di padre severo, rigido nell’educazione dei figli, che avevano sempre trovato conforto nella figura materna ma che nel corso del tempo si erano sempre più allontanati dal loro padre.

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Tornando a casa, durante l’ultimo voto aereo, Frank rischia di morire e questa sarà l’occasione che riunirà tutti in un’unica stanza. Tutti, tranne uno: David è morto, per overdose.

Il film non è altro che il remake della pellicola girata da Tornatore nel 1990, che vedeva protagonista Marcello Mastroianni. Detto questo, il nuovo “Stanno tutti bene” non riesce a suscitare la dovuta commozione; il film a mio parere è “noiosetto” e nemmeno l’interpretazione di De Niro (osannatissimo in questo caso) è così memorabile. Ne abbiamo viste di migliori. Nonostante l’utilizzo dei flashback con le immagini dei figli bambini, Jones non riesce a dare profondità alla storia che risulta, comunque, troppo scontata e “romantica” nella più ampia accezione del termine.

In definitiva, sono uscita dalla sala un po’ immalinconita e troppo annoiata. So che con questa recensione avrò suscitato le ire di molti: avanti, allora… commentate!

4 Comments

  1. Paolo
  2. Georgiana

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