Migrazioni e transizioni del cuore nel cinema indipendente americano

Due pellicole uscite in Italia quest’anno, Frozen River” e L’ospite inatteso”, rispettivamente di Courtney Hunt e Thomas Mc Carty, oltre a ridare una stilla di vigore ad un cinema indipendente americano un po’ assopito, hanno fatto emergere tematiche quanto mai contemporanee come quelle della diversità culturali, della solitudine umana e delle migrazioni.

Due film che raccontando storie apparentemente semplici e perfettamente aderenti alla realtà ci mostrano quanto l’animo umano e l’incontro con l’altro e il diverso possano essere motivo di conflitto ma anche di scoperta.

In “Frozen river” (USA 2008), ambientato al confine tra lo stato di New York e il Quebec, si narra la storia di due donne, Ray abbandonata dal marito con due figli piccoli ed una casa prefabbricata da acquistare e Lila una giovane appartenente alla comunità Mohawk che vive sulle rive del fiume San Lorenzo che, ghiacciandosi in inverno, diviene una strada per far entrare clandestini negli Stati Uniti.

L’amicizia tra le due donne viene suggellata sia dall’esigenza di procurarsi denaro (con il trasporto dei clandestini, appunto) sia dalle loro situazioni personali di solitudine e abbandono. Il fiume ghiacciato del titolo, spartiacque dei due stati confinanti diviene il confine labile delle esistenze e dei mondi interiori delle due protagoniste e la fragilità del ghiaccio che sostiene l’auto usata per il trasporto degli immigrati acuisce il senso di precarietà delle storie narrate che si snoda per tutto il film.

Il gelo del nord, le tratte notturne, le spartane condizioni abitative delle protagoniste, l’assenza di figure maschili e paterne nelle vite di Ray e Lila, la dimensione della sopravvivenza, confluiscono tutte nel senso di solidarietà che le due donne instaurano, fino ad un finale dove l’emergenza emotiva si trasforma in una scelta inevitabile.

La regista Hunt porta avanti la sua opera prima con grande spessore e buona tecnica ponendo in primo piano la dualità freddo (clima atmosferico, mancanza di relazioni significative, ghiaccio) e caldo (solidarietà, vicinanza affettiva, famiglia). La clandestinità che le due donne necessariamente favoriscono è la stessa da cui loro stesse vorrebbero uscire, isolate come sono dalla vita e dal mondo esterno.

Con “L’ospite inatteso” (USA 2007) Mc Carty ci porta nella periferia di New York. Qui Walter Vale, professore di economia rimasto vedovo scopre che la sua seconda casa è stata affittata con un inganno ad una coppia, il siriano Tarek, suonatore di djembe in un gruppo jazz, e l’africana Zainab, disegnatrice di gioielli. Dopo lo smarrimento iniziale, Walter invita i due a restare momentaneamente, e inizia con Tarek un’amicizia nel nome della musica. Purtroppo Tarek è irregolare e scoperto dalla polizia viene portato in un centro immigrazione nel Queens. Anche in questa pellicola si confrontano due vite, due clandestinità: Terek, immigrato con la voglia di rifarsi una vita con la sua compagna e Walter, in crisi con un un passato difficile da dimenticare ed un’ossessione ricorrente da sempre, quella di suonare il pianoforte senza esserne minimamente portato.

E sarà proprio uno strumento, il djembe di Terek, a fare da collante tra i due uomini, a far ritrovare a Walter la passione per la vita e a creare quel senso di solidarietà utile a Terek nei suoi giorni di vera e propria prigionia al centro di detenzione.

Sullo sfondo di un’America dove accoglienza e libertà sono sinonimi di controllo e privilegi, il regista fa muovere i suoi protagonisti con il ritmo dei tamburi (delicata e sottile la scena nel parco dove Walter viene invitato a fare una Jam session improvvisata tra suonatori di colore), con il ritmo del battito dei cuori dei protagonisti, con il suono, purtroppo dissonate, di un paese che non è più in grado di sostenere i diritti della gente, come orgogliosamente da sempre ha dichiarato.

Due film importanti “Frozen River” e “L’ospite inatteso”, che dimostrano, ribadendolo ad immagini chiare e a parole forti, quanto mai sia vitale la conoscenza ed il rispetto dell’altro, di quanto si abbia bisogno dell’incontro e della reciproca solidarietà con l’altro e di come l’immigrazione non sia un fenomeno da quantificare o monetizzare all’interno degli stati, ma possa e debba essere fonte di crescita personale e sociale. Il rispetto e la condivisone degli luoghi mentali e di vita, espressi nelle due pellicole, deve poter essere inscritto in spazi di riflessione collettiva sul futuro delle relazioni sociali e politiche degli uomini, così come nel cinema trova spazi ed elementi di narrazione grazie a registi quanto mai calati nella realtà come Courtney Hunt e Thomas Mc Carty.

Luigi Coccia

Frozen riverL'ospite inatteso

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