Registi emergenti: ‘Tramonto’ di Roberto Urbani

Per la rubrica dei registi emergenti presentiamo oggi Tramonto di Roberto Urbani, un interessante omaggio al genere Western. Ne parliamo insieme al suo regista.

Roberto Urbani, classe 1983 è laureato in Scienze della comunicazione, ha conseguito la laurea specialistica in Scienze dello spettacolo e della produzione multimediale ed è diplomato in regia all’Accademia di cinema e televisione Griffith di Roma. Dal 2012, dopo aver partecipato al workshop di aiuto regia con l’aiuto regista Ciro Scognamiglio, lavora come regista e aiuto regista per la ZEN.movie. Ha girato due documentari (ed è al lavoro su un terzo) e, in qualità di assistente alla regia e di aiuto regia, cortometraggi, documentari, spot, videoclip e spettacoli teatrali. Tramonto è il suo primo cortometraggio con il quale ha vinto il premio per la miglior regia al 15 Minutes of Fame Palm Bay, Florida 2012 e il primo premio al Festival Internacional de Cortometrajes Vagón 2012.

Tramonto

Vecchio West: un ragazzino sta attendendo suo padre, forse lontano da molto ma quando lo vede tornare si accorge che con lui c’è un ragazzino, Daniel. Anni dopo ritroviamo il ragazzino, ormai uomo, stremato e alla disperata ricerca di acqua. Ma quando finalmente trova un ruscello qualcuno gli punta una pistola: è Daniel…

Traendo spunto da un’ambientazione ed una storia che vuole essere un omaggio al genere Western, Roberto Urbani racconta l’amicizia virile tra due uomini, un tempo ragazzini e uniti da un legame particolare. Attraverso una sceneggiatura scarna ed essenziale, il regista punta più sul ‘non detto’ e sugli sguardi dei protagonisti (da segnalare le ottime interpretazioni dei due attori) per scavare nei loro sentimenti e raccontarne il tragico epilogo. Cortometraggio intenso e profondo, Tramonto colpisce e commuove grazie anche alla comunicatività e alla cura di fotografia, montaggio e musiche.

Le domande al regista

Ciao Roberto, benvenuto su cinemio. Iniziamo dal tema del corto di cui sei autore del soggetto e della sceneggiatura. Tu affermi di essere un amante del western e ‘Tramonto’ ne è un omaggio. Vuoi raccontarci la genesi del progetto?

Tramonto come è ora nasce in una notte. In quella notte sono nate le figure del padre, della madre, dei due fratellastri da piccoli, di un campo di grano e di una sedia a dondolo. Tramonto come era prima di quella notte nasce più di due anni fa. O addirittura nasce al secondo anno di università, quando ho scoperto il cinema. Un corso su Polanski e, soprattutto, un corso sul western americano classico, da Ford fino a Peckinpah. Oggi posso dire che realizzare un western come primo cortometraggio è stato forse il mio modo per ricordare quando ho iniziato a studiare e ad appassionarmi di cinema e di omaggiare, nel mio piccolo, quei maestri che mi avevano conquistato.

Ma Tramonto non è solo un western. Quello che più mi interessava raccontare, utilizzando la cornice del west, erano i sentimenti: l’orgoglio, un sentimento istintivo e acerbo. E il ricordo, il rimpianto. Il Tramonto di oggi è nato da una domanda: che cosa sarebbe successo se quella volta, invece di odiare, avessi sorriso?

Il protagonista Riccardo Scarafoni

Anche le ambientazioni del corto e le musiche sono molto curate e realistiche. Com’è avvenuta la ricerca e come hai lavorato con il direttore della fotografia (Dario Di Mella) e l’autore delle musiche (Giovanni Piccardi) per ottenere il risultato che abbiamo visto?

Trovare le location giuste è stato insieme frustrante e molto divertente. Frustrante perché se ne è andato via molto tempo, e tu hai il tuo film scritto, che chiede solo di essere girato… ma non puoi farlo! Divertente perché al mio fianco ho sempre avuto Michele Antonelli, il montatore del film, un grande amico che mi ha sopportato e sostenuto dall’inizio alla fine del progetto e che mi ha accompagnato in giro per mezza Italia alla ricerca della location ideale.

Con il mio dop Dario Di Mella c’è stata da subito una certa affinità, una magica sintonia. Incontrare un professionista e sapere fin da subito che lui sarà il tuo dop in quello e in altri progetti ancora è un piccolo miracolo. E poi ci sono state tranquillità, serenità e professionalità, in lui e in tutta la sua insostituibile squadra. Il direttore della fotografia e l’operatore sono due figure fondamentali perché saranno loro a dare forma all’immagine, quell’immagine che il regista si è immaginato per mesi e mesi e con la quale ora può e deve finalmente confrontarsi. Quell’immagine è difficile da prevedere e comunque non sarà mai come quella che tu regista ti eri immaginato. Compito del direttore della fotografia è renderla più simile possibile a quella che il regista ha immaginato.

Roberto Urbani sul set

Compito del regista è raccontarla con tanti più dettagli possibili, in modo da non restare deluso poi. Con Dario abbiamo parlato, gli ho chiesto di vedere un film (L’assassinio di Jesse James), gli ho mandato dei fotogrammi di riferimento e una lista dettagliata delle inquadrature. E poi ovviamente ci sono stati i sopralluoghi: in un giorno abbiamo fatto indigestione di tutte le location ed è stata una giornata fondamentale. Per la prima volta potevo iniziare a vedere il mio film. Quell’affinità, quel piccolo miracolo hanno fatto tutto il resto.

Per quanto riguarda le musiche è stato un lavoro molto lungo e difficile, che ha richiesto più di un incontro, più di una prova, più di qualche notte insonne. Il punto di partenza nella mia testa era comunque da subito molto chiaro e si chiamava Nick Cave. Ho scritto la sceneggiatura sulle note di White Lunar (la raccolta delle colonne sonore per film realizzate da Nick Cave e Warren Ellis) e quelle note hanno suonato nelle mie orecchie e nella mia testa per tutto il tempo della preparazione e della postproduzione del corto. Volevo realizzare un western moderno, ma allo stesso tempo vicino ai vecchi western classici. E poi volevo un cortometraggio che non fosse solo un western, che fosse qualcosa di più. Qualcosa che aveva a che fare con l’uomo. E le musiche di Cave, i film in cui queste musiche sono state utilizzate (dal film di Dominik a quelli di Hillcoat) mi hanno sempre comunicato questo. Sono state per me fonte di ispirazione e, soprattutto, un timone necessario per non dimenticare mai che cosa volevo raccontare e come volevo farlo.

Roberto Urbani sul set con Riccardo Scarafoni

E ora una domanda sul cast che vanta la presenza anche dell’attore e regista Pino Quartullo. Come hai lavorato con loro sulla costruzione dei rispettivi personaggi? In particolare com’è andata con i piccoli attori?

(ride) Quei due mi hanno fatto impazzire! No davvero, Jacopo e Giacomo sono stati straordinari, bravissimi, e i loro genitori disponibilissimi: si sono fatti sei ore di viaggio tra andata e ritorno per girare una scena per una sola ora! Avrei voluto avere più tempo per lavorare con loro, ma purtroppo avevamo degli obblighi di orari alla location del ruscello che ci hanno costretto a correre.

Ricordo la prima volta che li ho incontrati: in Giacomino ho trovato subito la timidezza mista alla dolcezza. Due elementi che dovevano trasparire dal volto del piccolo Daniel; di Jacopo ricordo invece la sorprendente maturità. Ho avuto l’impressione che con lui si potesse tranquillamente parlare di filosofia, di argomenti che con la sua età non avevano niente a che fare. Nel suo sguardo c’era profondità, la sua testa poteva essere un rimuginare continuo. Era il bambino giusto per interpretare Riccardo da piccolo. Giacomo e Jacopo comunque non sarebbero stati così professionisti e sorprendenti se non ci fosse stata la guida dei due tutor Veruska Rossi e Guido Governale.

Uno dei due piccoli protagonisti

Riccardo Scarafoni poi è stato straordinario. Ho snervato lui e gli altri attori raccontando loro tutte le biografie dei personaggi. Praticamente mentre parlavo stavo creando delle altre storie, dei nuovi cortometraggi. Loro hanno fatto tesoro di questi racconti e, con grande professionalità, hanno colto e valorizzato le piccole sfumature: gli occhi lucidi di Riccardo, l’immobilità emotiva di Carlo Caprioli, la dolce preoccupazione di Veruska, la dolce imposizione di Pino Quartullo.

Con Pino ho lavorato come assistente alla regia e da un paio d’anni come aiuto regista. E’ merito suo se ho avuto a che fare con progetti, budget e nomi importanti. Insomma, mi ha fatto e mi sta facendo capire come funziona il cinema. Assegnare a Pino il ruolo del padre è stata quindi una scelta assolutamente logica e spontanea.

L'attore Pino Quartullo

Il tuo corto è distribuito dalla Zen Movie, gruppo che noi di cinemio conosciamo molto bene. Com’è andata questa collaborazione?

Oggi la ZEN è composta da cinque figure: dai due soci storici Giulio Mastromauro e Dario Di Mella, e dai nuovi soci Nicoletta Cataldo, Rosa Santoro e da me. Ci conosciamo tutti quanti già da 2-3 anni, e nell’estate dell’anno scorso abbiamo deciso di unire le forze, le nostre esperienze e le nostre professionalità. Il primo progetto insieme è stato Carlo e Clara di Giulio Mastromauro, in cui io ho lavorato come aiuto regia. E’ di qualche giorno fa la notizia della vittoria del premio “new talent” al Foggia Film Festival. Chi ben comincia…

Infine uno sguardo al futuro. In quali festival potremo vedere Tramonto? E tu hai già un nuovo progetto nel cassetto?

Tramonto sta continuando il suo percorso nei festival nazionali e internazionali. Sta andando molto bene in America – dove ha vinto il premio per la miglior regia al 15 Minutes of Fame 2012 e per la miglior fotografia al Vagón 2012 – e in Italia sarà proiettato molto presto a Padova al River Film Festival e al Tolfa Short Film Festival.

Intanto sto lavorando da qualche mese a un documentario che è già un misto di sensazioni e emozioni e ho da poco concluso la stesura di una sceneggiatura per un nuovo cortometraggio. Che vi racconterò, quando lo avremo girato, in una nuova intervista!

Il regista Roberto Urbani

E noi allora salutiamo Roberto Urbani in attesa di parlare con lui di questo nuovo progetto.

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