Cinemio incontra i registi emergenti: intervista a Giuseppe Petruzzellis – Prima Parte

Il regista di oggi, Giuseppe Petruzzellis, ha trovato un modo alternativo per autofinanziare il suo interessante documentario sull’India dal titolo Indian Flow. Leggi nel mio articolo tutti i dettagli.

La locandina del documentario

La locandina del documentario

Indian Flow

Giuseppe Petruzzellis ha solo 27 anni ma è già autore di diversi documentari e fondatore di Aplysia, un network di giovani professionisti specializzati in diversi settori della comunicazione audiovisiva e multimediale. Lo scorso anno è stato inserito nell’annuario dei giovani talenti italiani premiati nel mondo Young Blood 2009. Per finanziare il suo ultimo documentario sull’India, Indian Flow, ha deciso di usare una piattaforma online, Produzioni dal Basso, che permette a chiunque di diventare coproduttore del progetto.

Ma per saperne di più lascio la parola al regista stesso.

Giuseppe, com’è nata l’idea del film?

Da molto tempo desideravo conoscere da vicino vari aspetti della realtà indiana e avevo pensato di legare questa esplorazione alla realizzazione di un  documentario. Già in altri casi l’obiettivo della telecamera mi aveva aiutato ad avvicinarmi a situazioni altrimenti difficili da capire se osservate soltanto dall’esterno.

In questo caso avevo fatto delle ricerche sul rapporto tra gli indiani e il Gange e mi sembrava che questa pista fosse ricca di spunti di riflessione. Per gli induisti il Gange non è solo un fiume: è una  divinità femminile che chiamano Madre Ganga. La religione induista conserva un legame quasi ancestrale con gli elementi naturali, ma questa forma di rispetto per l’ambiente è stata completamente stravolta dal progresso socioeconomico.

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Oggi il Gange è uno dei fiumi più inquinati al mondo, e questo è soltanto uno degli effetti nefasti di uno sviluppo industriale selvaggio che ha danneggiato in vari modi l’ecosistema del subcontinente indiano. Volevo quindi capire dal di dentro le caratteristiche di questo rapporto quasi paradossale tra modernità e tradizione e avevo pensato di realizzare un documentario di taglio ambientale. Poi, una volta arrivato in India le cose sono andate diversamente…

Quali sono state le difficoltà che hai avuto durante la lavorazione?

Sono partito da solo: zaino in spalla e camera a mano. Arrivato a Delhi la prima cosa che mi ha colpito è stata la confusione. Per strada c’era di tutto: mucche, scimmie, ogni tipo di mezzo di locomozione, una marea di gente. Ero arrivato là con il mio bel progettino per un reportage ecologico, ma ho capito subito che dovevo prima imparare a sopravvivere in quell’ambiente apparentemente lontanissimo da ogni schema logico. Prima di poter approfondire il rapporto tra gli indiani e il Gange sentivo il bisogno di trovare un ordine in mezzo a quel caos.

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Messo da parte il mio progetto, ho cercato di prendere il ritmo degli indiani andando a Jaipur, in Rajasthan. Vagavo per la città senza pormi obiettivi precisi, fermandomi a chiacchierare con la gente conosciuta per strada. Ero partito da solo, ma ho scoperto che in India è molto difficile restare da soli. Ogni giorno conoscevo gente nuova, e ogni contatto mi permetteva di capire qualcosa in più sull’India.

La ricchezza di questi incontri mi ha portato a rivedere i miei piani, e quindi l’idea iniziale si è via via trasformata. Anche se sono presenti diversi passaggi su tematiche ambientali, Indian Flow ha assunto caratteristiche che lo avvicinano maggiormente al reportage di viaggio e al documentario antropologico.

Il regista Giuseppe Petruzzellis

Il regista Giuseppe Petruzzellis

Termina qui la prima parte dell’intervista a Giuseppe Petruzzellis. Continua a leggere nella seconda tutti i dettagli di questa bella avventura.

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