Non lo so ancora di Fabiana Sargentini. La leggerezza di vivere.

L’idea del film Non lo so Ancora nasce nel 2007, quando la regista Fabiana Sargentini incontra, al Festival di Bellaria, in cui era in concorso con un documentario, il critico cinematografico Morando Morandini, che le propone di scrivere una sceneggiatura insieme. Il percorso più naturale per narrare questa storia fu proprio di partire da un punto di vista autobiografico e di raccontatre due generazioni differenti per età.

non lo so ancora

Non lo so ancora di Fabiana Sargentini

Non lo so ancora

Non lo so ancora racconta con delicatezza 24 ore della vita di due esseri umani, Giulia (Donatella Finocchiaro) e Ettore (Giulio Brogi) che si incontrano, e pur non avendo niente in comune, trovano a poco a poco un empatia straordinaria ed un po’ magica, dopo aver superato il primo imbarazzo. Le loro interpretazioni sono davvero molto intense e credibili e riescono ad emozionare molto solo attraverso uno sguardo.

Sono due anime che aspettano gli esiti di risultati medici e facendosi compagnia riusciranno ad ingannare l’attesa, alleggerendo le loro fragilità attraverso la  spensieratezza e il gioco, trovando un modo tutto loro di comunicare. La regista in fase di scrittura ha pensato proprio alla Finocchiaro per il suo personaggio.

Non lo so ancora è stato girato nel 2012 a Levanto, nelle Cinque Terre, luogo a cui Fabiana è molto legata. Alcune scene son state girate nella casa di Morando Morandini. C’è una grande attenzione al microcosmo del paese, che è assolutamente il terzo protagonista del film, con una fotografia molto curata, che utilizza la luce naturale tipica della fine d’estate.

La Sargentini riprenderà molte scene un anno prima, proprio per cogliere quel tipo di atmosfere. Anche i piccoli gesti e gli oggetti sono stati oculatamente scelti dalla regista, che trova il suo punto di forza proprio in questa cura per i dettagli, in un mondo dove il tempo sembra fermo e dove non succede quasi nulla.

Ci sono delle inframmentazioni con dei bozzetti disegnati da cui poi vengono ritratte delle scene, realizzati dal marito. Questa idea è assolutamente originale, e nasce da un profondo amore che la regista ha per la pittura, essendo cresciuta in una galleria d’arte di proprietà dei genitori.

Non lo so ancora Fabiana Sargentini e Morando Morandini

Fabiana Sargentini e Morando Morandini

Non lo so ancora è un film delizioso che ci riporta in una dimensione molto umana, fatta di attenzione per le piccole cose, dove non accade nulla di eclatante, ma rimanda sensazioni di quelle vacanze che ti ricordi poiché sei stato bene.

Da evidenziare il ritorno sul grande schermo dell’attore Giulio Brogi, che si è fatto conoscere per le sue interpretazioni con i film di Paolo e Vittorio Taviani ( i Sovversivi, Sotto il segno dello scorpione e San Michele aveva un gallo) 

Speriamo che Non lo so ancora abbia un buon passa parola e che la gente lo vada a vedere perché sarebbe un vero peccato perderselo.

Intervista a Fabiana Sargentini

Fabiana Sargentini, si laurea alla Sapienza di Roma in Storia e critica del cinema, con una tesi su Robert Altman.

Non lo so ancora Fabiana Sargentini

Fabiana Sargentini

Inizia a girare dei piccoli corti sul mondo dell’arte, lavorando presso la galleria d’arte L’Attico di Roma, di cui farà la curatrice, per approcciare poi la scrittura filmica con due documentari Sono in Cinta (2003), con cui vince il festival di Bellaria, e Di madre in figlia (2004) che anche questo e permette di girare molti festival e di vincere premi.

Il suo primo lungometraggio Non lo so ancora lo girerà dopo molti anni, nel 2011, e l’idea è nata dopo l’incontro con il critico Morando Morandini, che le propone di scrivere insieme la sceneggiatura di un film.

Il titolo del film si chiama “Non lo so ancora”. Come è nata l’idea di questo titolo particolare?

In realtà ancora non so bene il perché di questo titolo. Nasce da questo non so ché che è ben presente all’interno della pellicola, qualcosa di impalpabile, che senti ma non lo puoi definire. Esattamente ciò che provano i due protagonisti del film.

Il posto dove hai girato il film è Levanto, che si trova nelle Cinque Terre. Come hai scelto questa location?

E’ un posto a me molto caro, ci sono andata spesso a villeggiare soprattutto nel mese di settembre. E nel film ci tenevo a ricreare proprio quel clima naturale di luce tipica della fine dell’estate. Poi una coincidenza è stata che Morandini ha una casa al mare proprio li, e durante la scrittura siamo andati in quel luogo, e c’è sembrato naturale descriverla e ambientarla, così come parlare in Non lo so ancora della nostra differenza di età e generazione.

Poi serviva un piccolo posto per fare in modo che fosse credibile che tutti i cittadini si accorgessero di questa coppia anomala. Circumnavigando il paese attraverso i vicoli è facile che incontri tutti, ed anche se non li conosci, hai l’impressione che ti siano familiari. Spesso se devo arrivare in un posto, davanti ad un bivio, mi chiedo sempre se andare a destra o sinistra, perché credo ci sia una sorta di fatalismo per cui se prendi quella strada è perché devi poi incontrare qualcuno.

Io ho utilizzato il pretesto del treno che non partiva, per fare accadere un incontro. Inoltre è abbastanza frequente in quei posti che accada, perché a volte per fattori naturali, come frane o inondazioni, si interrompono strade e linee ferroviarie. E come se il destino ti dia una piccola spinta per far accadere delle cose.

Nel film c’è l’attenzione per i dettagli e per piccoli oggetti. Me ne puoi parlare?

Questa è stata una cosa voluta in scrittura. E’ una microcosmo dove non succede niente. Di solito è un accezione negativa, ma qui viene trasformato in un punto di forza. I dialoghi non sono molto importanti, se avessi potuto avrei girato una settimana in più solo per riprenderli mentre passeggiavano. Infatti ho utilizzato tutte le scene di questo tipo disponibili.

Tutto ciò che accade nel film è fatto di micro eventi, e la macchina da presa è come un occhio che li spia in modo rispettoso, non invade la loro privacy, come spesso accade nei servizi giornalisti che sfruttano i sentimenti per fare audience.

Anche nei documentari ho voluto mantenere questa umanità con ognuno delle persone intervistate, con cui si è creato un legame forte che è andato oltre e che dura tutt’oggi. Prima quando giravo facevo tutto da sola. Sul set del film ho imparato a lavorare con altre professionisti, cercando di creare un clima di lavoro gioioso, e mi ero comprata appositamente un profumo che utilizzavo in quel periodo, ed è stato per me un modo carino per accogliere tutti.

Spero di essere sempre fortunata a lavorare in questo modo. Era come stare in un’oasi felice nel quale io stavo esaudendo un mio desiderio, e questo mi faceva sentire grata tutti i giorni alle persone che lavoravano con me.

Giulio Brogi e Donatella Finocchiaro sul set

Giulio Brogi e Donatella Finocchiaro sul set

Come è stato il lavoro con gli attori?

E’ stato difficile far nascere un empatia tra Donatella Finocchiaro e Giulio Brogi. Lei si atteggia a diva, mentre lui ha un carattere molto più ruvido. In realtà questa era nata tra me e Donatella e tra me e Giulio. Ho dovuto lavorare affinché questo passasse attraverso me a loro come un cerchio che si andava a chiudere.

Solo la frequentazione è riuscita a smussare i loro angoli, hanno capito i loro punti deboli, rispettandoli, trovando insieme il loro modo di comunicare. Poi ho fatto un gran lavoro soprattutto su di lui. Quando lo vidi a teatro lui sembrava uno zingaro, lo abbiamo ripulito, dandogli un aspetto signorile. Donatella era perfetta, perché ho scritto il personaggio pensando proprio a lei.

Come hai girato ‘Non lo so ancora’?

Abbiamo girato con una redcam ed il montatore era presente sul set. Lui scaricava i filmati giornalmente e nel week end mi guardavo i filmati in sequenza e mi rendevo conto di ciò che mancava, girandolo il giorno successivo. Montare quasi in contemporanea è interessante, perché capisci tutto in corsa. Se potessi lo farei sempre in questo modo.

Come mai il film non è riuscito ad avere una distribuzione?

La mia necessità è sempre quella di riuscire a tirar fuori qualcosa che abbia una fruizione aperta. Mi ha fatto male che il film non abbia avuto un adeguata visibilità per il pubblico. Ciò che ti insegna l’indipendenza è che quando hai pochi soldi ti devi industriare. I limiti diventano la chiave per aguzzare l’ingegno, e trovi le soluzioni in maniera veloce. Dopo un anno e mezzo, ho trovato una casa di distribuzione di Milano che ci sta credendo e piano piano il film sta avendo una sua visibilità.

Che significato ha per te l’arte?

Arte è una parola che mi piace moltissimo. Non mi sento un artista, ma una creativa che si esprime attraverso di essa. Amo il mio lavoro e soprattutto amo scrivere le storie, ed è proprio per questo che non dirigerò mai un film scritto da altri. La sento come un espressione della mia anima. Inoltre nel tempo ho acquisito una potenza molto visiva, essendo cresciuta nella galleria d’arte di mio padre.

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