Avevo letto il libro qualche tempo fa e per me è stato inevitabile andare a vedere il film. Sto parlando de La solitudine dei numeri primi, il bestseller di Paolo Giordano portato sul grande schermo da Saverio Costanzo. Il film però, come d’altronde il libro, non convince del tutto.
Leggere il libro e poi vederne la riedizione al cinema non sempre è positivo perchè si è inevitabilmente condizionati da ciò che si è provato durante la lettura e ci si ritrova costantemente a fare paragoni. Certo è, d’altro canto, che quando si legge un libro non si può fare a meno di andare a vedere il film, un pò per rivivere le emozioni della lettura, un pò per scoprire come il regista si è immaginato gli attori.
Di trasposizioni molto belle ne ho viste tante, prime fra tutti Non ti muovere di Margaret Mazzantini o , anche se un pò meno, D’amore e Ombra di Isabel Allende: storie ben raccontate con bravi attori chiamati ad interpretarle.
Il film
La solitudine dei numeri primi, opera prima di Paolo Giordano, era già un bestseller quando l’ho letto, eppure non posso dire che mi sia piaciuto. Mattia e Alice sono due ragazzi che hanno alle spalle una tragedia vissuta quando erano piccoli e che li ha condizionati durante la crescita. Quando, adolescenti, si incontrano, provano una strana attrazione che li porta a diventare amici. In realtà però saranno sempre soli, come i numeri primi del titolo: ci sono infatti coppie di numeri che i matematici chiamano gemelli perchè molto vicini ma mai abbastanza da toccarsi davvero.
Le impressioni
La storia in sè, pur essendo drammatica, è toccante. Peccato però che, forse per l’inesperienza dell’autore, non sia sviluppata a dovere già nel libro. Quando si passa poi alla trasposizione, è ovvio che, dovendola sintetizzare in poco meno di due ore, questo difetto si accentua ancora di più. A peggiorare la situazione poi, ci si mettono anche i personaggi, la maggior parte dei quali talmente poco abbozzati da risultare praticamente inutili. Sarà forse per questo motivo che non convincono assolutamente le interpretazioni degli attori, primo fra tutti il protagonista Luca Marinelli.
Mattia è un ragazzo silenzioso e riflessivo, ma questo non giustifica la costante faccia totalmente inespressiva di Marinelli. Lo stesso si può dire per Isabella Rossellini, che interpreta la madre di Mattia, segnata come lui dalla tragica perdita subìta, ma che sullo schermo si rivela una madre insensibile la cui battuta migliore (!) è quella sui suoi figli che le hanno rovinato la vita. Potrei continuare con il padre o il marito di Alice, personaggi chiave nel libro, qui ridotti a macchiette quasi grottesche.
L’unica che forse si salva è Aurora Ruffino, che interpreta Viola, l’amica bulletta di Alice, che a tratti ricorda la Chiara Chiti di Un gioco da ragazze. A questa si aggiunge la brevissima ma inquietante interpretazione del clown Filippo Timi, prova che non è la durata nel film a dare senso ad un personaggio.
In tutti queste piccole e grandi imprecisioni risalta ancora di più la magistrale interpretazione di Alba Rohrwacher. Devo ammettere che, conoscendo la storia e la figura problematica di Alice, avevo molti dubbi sulla scelta dell’attrice. La Rohrwacher si è sempre trovata a suo agio nell’interpretare personaggi con problemi psicologici, tanto da risultare a volte sempre uguale a se stessa. In questo caso però ha davvero centrato l’obiettivo anche e soprattutto con le espressioni del volto e le movenze del corpo, arrivando persino a diventare ancora più scheletrica di quanto già sia per portare sullo schermo il problema di anoressia che la protagonista ha avuto sin da adolescente.
Questo però non basta a dare sprint al film che rimane sempre costantemente sottotono. Ho cercato fino alla fine di evitare eccessivi confronti con il libro ma su un aspetto non posso frenarmi: il finale, seppurpur a mio parere assurdo, nel film viene praticamente stravolto.
Alba Rohrwacher: vi racconto di me
Continua a leggere il focus su Alba Rohrwacher, ospite del BIF&ST 2015.
No Responses