Film Italiani: La misura del confine

E’ uscito lo scorso 6 maggio un pò in sordina, La misura del confine, thriller di Andrea Papini. A recensirlo per noi, oltre che la nostra collaboratrice Chiara Ricci, una new entry a cui diamo il benvenuto nel gruppo: Francesca Muscella.

La misura del confine

Dopo aver scoperto la presenza di una mummia sui ghiacciai alpini l’amministrazione del paese di Varallo convoca due topografi, un italiano (siciliano per la precisione) e uno svizzero per definire entro quali confini si trova il corpo: se in quelli nazionali oppure svizzeri.

Così, Mathias (Paolo Bonanni) e Giovanni (Giovanni Guardiano), accompagnati dalle rispettive squadre, si mettono in viaggio verso il luogo del ritrovamento della mummia. Strada facendo ci si accorge immediatamente di come e di quanto questi due gruppi siano tra loro diversi: più professionale, più rigido, più razionale e matematico quello svizzero, più “spensierato”, emotivo, semplice nell’organizzazione quello italiano.

La squadra capitanata da Mathias, infatti, viene travolta da un furioso temporale ad alta quota proprio per fare rilevamenti, per impiantare i propri strumenti, estrarre campioni invece di recarsi direttamente al rifugio Vigevano dove il gruppo italiano si è già stabilito. I due gruppi, divenute le condizioni climatiche più favorevoli per riprendere la spedizione, vanno a prelevare il corpo per portarlo al rifugio e analizzarlo.

Immediatamente tutti i ragazzi, compresi Beatrice (Beatrice Orlandini) e Peppino (Peppino Mazzotta) iniziano a domandarsi chi possa essere e quale possa essere stata la morte di quell’uomo. Così, pian piano si scopre l’identità dell’uomo, si svelano dei misteri di una famiglia, i suoi amori segreti e delle ritrovate e non sospette parentele.

Lunga vita alla cinematografia indipendente

di Chiara Ricci

Il film di Andrea Papini è un piccolo grande gioiello della cinematografia italiana indipendente. La misura del confine è stato girato in sole due settimane, a circa 3000 metri di altezza e con tutte le difficoltà che l’altitudine, l’alta montagna e il basso budget comportano.

Nnostante questo, però, il film è meritevole di lode non tanto per il cameo di Gianluca Buonanno – esponente della Lega Nord – quanto per la sua struttura narrativa e tecnica. Il regista è riuscito a racchiudere nel suo film dal titolo così ricco di significati e di sensi, infinite interpretazioni di confine. Questo termine, infatti, non deve essere relegato solo al campo della topografia ma anche, e soprattutto, a quello umano, dei sentimenti, della ragione.

Come si è detto i due gruppi sono tra loro profondamente differenti e lo stesso i loro capigruppo: Mathias è estremamente razionale, non esprime facilmente i propri sentimenti e, per di più, prima di partire per il Monte Rosa è stato lasciato dalla compagna. Giovanni, invece, è un siciliano solare, allegro, a volte persino scanzonato, innamorato di Rosamaria (Adriana Ortolani) che lo raggiunge al rifugio Vigevano.

Inoltre, a sottolineare lo studio, la giusta ricerca dei propri e degli altrui confini c’è la bellissima fotografia di Benjamin Nathaniel Minot che dà vita a quegli splendidi paesaggi alpini le cui maggior ricchezze sono la luce e il silenzio che riempiono ogni fotogramma di pura consistenza ed armonia.

Allo stesso modo la musica di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti non può che essere un valore aggiunto, un fregio a questo film assolutamente riuscito. Ed è proprio vedendo questo genere di film, costruito con così profonda attenzione e cura che nasce il desiderio di esclamare “lunga vita alla cinematografia indipendente italiana”.

Progetto ambizioso ma poco convincente

di Francesca Muscella

Il progetto del film  nasce da un premio vinto nel 2008, in occasione della rassegna “Cinema Domani. Esordi del Cinema italiano indipendente”. Il lavoro è realizzato in sole due settimane, prevalentemente in un rifugio di montagna sulle cime innevate del Monte Rosa al confine tra Italia e Svizzera. Per le circostanze in cui è stato girato ed i risultati ottenuti in un tempo così breve, lo si può definire anche un film ambizioso.

La storia è trattata abbastanza banalmente, si percepisce poco il tema conduttore. Se non fosse per le scene iniziali che si riferiscono alla sigla, creando delle  belle aspettative, e per le riprese panoramiche, tutto il resto è un po’ deludente. Il soggetto si rende interessante solo dopo aver ritrovato i diari del rifugi, i quali nascondono dei segreti.

La narrazione infatti si perde, ci sono alcuni elementi che in un primo momento vengono esaltati dando l’impressione di essere importanti, e di essere la chiave del mistero che aleggia sulla mummia, ma poi vengono messi nel dimenticatoio non producendo alcuno sviluppo per la narrazione. Scontata anche l’idea di abbinare il ritrovamento della mummia con quello della ben più nota mummia di ÖTZI.

5 Comments

  1. Antonella Molinaro
  2. Diana Rocío Yáñez Campos

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