Credete che uomo NON possa vivere in mare senza scendere mai sulla terraferma? Vi sbagliate.

È il 1900. Salpa i mari la nave Virginian. Un bambino viene abbandonato su un pianoforte. A trovarlo è un macchinista che lo chiamerà Danny Boodman T.D. Lemon Novecento. Si prende cura di lui e gli insegna buone e cattive maniere fino al giorno in cui la sua vita sarà tragicamente interrotta da un brutto incidente sul lavoro. Il bambino crescendo mostra una particolare propensione al pianoforte e inizia ad appassionarsi alla melodia che lo strumento emana attraverso la leggerezza delle sue dita. Le note, suonate da  Novecento, sembrano armoniche e adatte ad ogni occasione. Ogni donna e uomo salito sulla nave mostra un coinvolgimento e un assuefazione alla sua musica mai sperimentati prima.

Suona per i sentimenti della gente, suona per restituire quell’intensità perduta alla vita monotona dei viaggiatori, suona per far assaporare il gradevole pensiero ad occhi chiusi, suona per la gente che ama ascoltare e lasciarsi trainare nel vortice delle note musicali, ma non scende mai dalla nave.

È nato lì, ed è lì che decide di rimanere: “Io ho imparato a vivere in questo modo. La terra… è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.Non scenderò dalla nave“.

Il suo percorso conoscitivo non può proseguire sulla terra perché Novecento decide di vivere nel mare per sempre. Tra canzoni , colpi di scena, lacrime e scena finale imperdibile, ecco a voi un capolavoro di film.

Critica

Ma quale critica e critica. Un capolavoro firmato Giuseppe Tornatore tratto dal monologo di Alessandro Baricco. Per la prima volta nella mia vita farò questa confessione: il libro è meraviglioso ma il film lo è ancora di più. È incantevole in modo in cui il potere trainante della musica possa assopire le persone,  è sublime la ricercatezza delle parole e l’appassionante accostamento delle note musicali cucite ai personaggi che intervengono nella narrazione.

Novecento incarna il perfetto uomo che giace sul piedistallo: non vuole conoscere ciò che non conosce e non vuole sperimentare, così coraggiosamente non rimpiange la decisione finale perché per lui alcune cose non meritano di essere vissute. Nonostante il protagonista sia senza dubbio Novecento, un ruolo di grande rilievo è assegnato alla musica, che a volte permane anche per lunghi minuti non certo noiosi per un’appassionata come me.

Ammetto però, che la ridondanza musicale sia stata sottovalutata perché per un non appassionato, le lunghe scene finali potrebbero risultare tediose e pesanti. I flashback del miglior amico trombettista Max Tooney, allieteranno il percorso conoscitivo dei personaggi, conducendoci ad una confezione ben impacchettata. Che dire, un bel regalo dello scrittore e del regista che hanno conquistato 5 Nastri d’argento e 1 Efebo d’oro 1998; 6 premi Donatello 1999, Globo d’oro 1999 per la sceneggiatura.

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  1. Barbara

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