Il primo incarico: parlano Giorgia Cecere ed Isabella Ragonese – Seconda Parte

Continuiamo a parlare del film Il primo incarico e delle sue protagoniste, la regista Giorgia Cecere e l’attrice Isabella Ragonese, entrambe a Bari lo scorso 5 maggio per presentare il film.

I ruoli di Isabella Ragonese

Il primo incarico racconta la vicenda di una donna inconsapevolmente femminista. Ecco cosa pensa Isabella Ragonese del lavoro oggi rispetto a quello dell’Italia del 1950, periodo in cui il posto fisso non era una chimera.

Nella mia carriera ho fatto, con molta fatica, un percorso che alternasse ruoli molto diversi ma ne vado fiera. Sono nata con il ruolo di Marta in Tutta la vita davanti, forse il primo film che parla di precariato, e credo, nel mio piccolo, che sia giusto dare voce agli invisibili da questo punto di vista.

La situazione del lavoro è un paradosso e c’è un’ulteriore difficoltà. Il maschilismo negli anni ’50 era certo più sentito ma oggi è più subdolo. Ho sentito molta forza nell’interpretare Nena e molta confusione nell’interpretare Marta.

E’ come se Nena avesse chiari i duellanti contro cui combattere anche in maniera ostinata mentre oggi non è mai chiaro contro chi siamo. Questa è la difficoltà della mia generazione, quella di non sapere chi sono i nemici, che sono comunque una parte importante della formazione. Mancando i riferimenti positivi e negativi, Marta mi fa un po’ tenerezza.

Cinematograficamente, se pensiamo agli anni ’50 da un lato c’era la pubblicità della donna casalinga, ma se pensiamo ai più bei ruoli femminili, li troviamo proprio in quegli anni, interpretati da grandi attrici come Sofia Loren, Anna Magnani, Silvana Mangano, Lea Massari e tutte le altre.

Le nostre attrici avevano realmente la possibilità di raccontare storie come soggetti e non come complementi dei personaggi maschili. Spesso quando mi propongono un film la storia è sempre la stessa: c’è questo ragazzo che ha una fidanzata, o un’amante, o una sorella…Difficilmente arriva un regista che ti dice: c’è questa ragazza che…

Non penso che in Italia manchino gli attori, c’è forse poca attenzione per le storie. Io credo di essere stata molto fortunata nel mio lavoro: avere memoria, ricordare che c’è un passato glorioso, crea un precedente e dà speranza.

Giorgia Cecere: dalla sceneggiatura alla regia

Il passaggio è stato molto naturale. Forse è stato più difficile il passaggio dalla regia alla sceneggiatura. Avevo studiato regia con Gianni Amelio al Centro Sperimentale ed ero così ossessiva per il mio lavoro che avevo tralasciato le lezioni di sceneggiatura di Scarpelli.

Poi ho girato il mediometraggio Mareterra con Olmi, con il quale si girava senza sceneggiatura, ed è stato faticosissimo. Proprio la fatica di quel racconto che durava 45 minuti mi ha fatto ricredere sull’istintività tutta nouvelle vague di raccontare senza sceneggiatura.

Quindi ho cominciato ad approfondire il lato meno naturale per me. Ed è diventato anche un lavoro. Ho avuto la possibilità di scrivere Sangue Vivo e poi Il Miracolo per Edoardo Winspeare. Avendo avuto entrambe le esperienze, ho deciso, per il mio film, di avere ben salda la narrazione.

L’unica difficoltà di tornare alla regia è stata che in Italia, lo scrivere e dirigere un film sono considerati due mestieri diversi. In realtà nel mondo cinematografico per eccellenza come l’America si passa indifferentemente da uno all’altro.

Al centro sperimentale l’ultimo giorno arrivò Akira Kurosawa e mentre eravamo tutti lì a contemplarlo ci fu un ragazzo che osò fare la domanda più goffa: ‘maestro, cosa serve per fare un bel film?‘ Lui tirò fuori la penna da taschino e la mostrò. Quel gesto l’ho capito molto tempo dopo e me lo sono sempre ricordato. La questione  è tutta lì, ed è la parte più difficile.

Una volta affrontato l’aspetto dove ci sono i veri problemi di cui trovare le vere soluzioni e le le scelte, il resto è facile. Quando finalmente mi hanno lasciato arrivare sul set, avevo uno straordinario direttore della fotografia, l’attrice che avevo sempre desiderato, per me è stata una festa anche se faticosa fisicamente, visti i tempi strettissimi. Ma il set è il luogo dove mi trovo più a mio agio.

L’intervista durante il BIF&ST

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