Rassegne cinematografiche: a Milano “il cinema è come un campo di battaglia” – prima parte

Mercoledì 5 maggio ha preso il via, presso il caro Spazio Oberdan di V.le Vittorio Veneto, una particolare rassegna dedicata ai grandi film di guerra.

Riprendendo la battuta del regista americano Samuel Fuller, da me riportata nel titolo del post, il cinema è infatti denso di “amore, odio, azione, violenza, morte. In una parola: emozione.”

Le pellicole presentate rappresentano sul grande schermo l’incisività della battaglia, riportando ciascuna le diverse geometrie e tribolazioni che in essa si possono trovare.

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Si passa così dagli schieramenti rigorosi di Ran (1985) di Akira Kurosawa, agli scontri turbolenti e futuristici di Avatar (2009) di James Cameron.

Come non citare, poi, le suggestive atmosfere settecentesche del Barry Lyndon (1975) di Stanley Kubrick, precedute dal suo cortometraggio d’esordio Day of the Fight (1951), in programma per mercoledì 12 maggio alle ore 17.

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Frutto di un reportage fotografico sulla carriera del pugile Walter Cartier, quest’ultimo titolo della rassegna vuole sottolineare la collaborazione tra la Fondazione Cineteca Italiana di Milano e la mostra “Stanley Kubrick Fotografo 1945-1950”, in corso al Palazzo della Ragione fino al prossimo 4 luglio.

Una battaglia rarissima per l’inaugurazione dell’evento

In occasione dell’apertura della rassegna, mercoledì è stata proiettata la versione restaurata di J’accuse! (Per la Patria, 1919) del regista Abel Gance.

(La rarità di tale pellicola mi obbliga ad inserire la scheda ed alcune immagini riferite alla versione del 1938, realizzata comunque dallo stesso Gance, ndr)

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Frutto di un delicatissimo lavoro di recupero da parte dell’Eye Film Institute Nederlands, e arricchito dall’accompagnamento musicale di Francesca Badalini (pianoforte) e Davide Martinelli (percussioni), il film racconta la drammatica storia, un po’ “alla Romeo e Giulietta“, di due giovani innamorati della Provenza, Jean e Edith.

Il loro amore è ostacolato dal padre della fanciulla, che la obbliga a sposare il rude François; intanto la prima guerra mondiale avanza, e le difficili situazioni da essa portate faranno riconciliare i due rivali.

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Ma l’orrore degli scontri è immenso, e le loro vite si tramuteranno in crescenti tragedie.

La storia si conclude con l’immagine di Cristo, simbolo del sacrificio e della sofferenza umana.

Enrico V: Shakespeare sul grande schermo

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Tra i vari titoli, particolare rilievo ricopre il maestoso Enrico V (1990), diretto ed interpretato da Kenneth Branagh.

“Ah! potessi aver qui una Musa di fuoco…”, e il volto di Derek Jacobi, colui che rappresenta il Coro, viene d’improvviso illuminato da un fiammifero che fende il buio dell’inquadratura: questo è l’inizio dell’Enrico V, magnifica trasposizione cinematografica di un classico di Shakespeare.

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Questa è la storia di un’Inghilterra che si appresta a dichiarare guerra alla Francia, sua vicina, ma è più in generale la storia di qualunque guerra.

Una battaglia qui resa fangosa, sporca, violenta.

Ed è questa la storia di un uomo, Enrico (Kenneth Branagh), che vive in sè stesso il dramma del conflitto, che si interroga sul significato della sovranità in quella “pausa malinconica, riflessiva e oscura prima della battaglia” di Agincourt.

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E, tra le altre cose, il principe Carlo fu ospite d’eccezione durante le riprese di quel soliloquio riflessivo, portando a Branagh 500 milioni di sterline in aggiunta agli ormai scarsi fondi per il film.

Le pile di cadaveri rimaste sul campo dopo lo scontro, che per il film vennero prodotte utilizzando la cosiddetta vacform (=termoformatrice, ovvero formatrice sottovuoto, con cui si possono realizzare manufatti in materiale termoplastico), costituiscono la furia e lo squallore della guerra.

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Enrico porterà la sua Inghilterra alla vittoria sul suolo francese; ma soprattutto egli vincerà i fantasmi della propria giovinezza, e diverrà così uomo.

Eccezionale la sua figura che attraversa il campo di battaglia, portando sulle proprie spalle il corpo esanime del giovane Sir John Falstaff, accompagnata dalla melodia di Patrick Doyle, musicista della Renaissance Theatre Company.

La storia si conclude con il Coro-Jacobi che spalanca la porta sulla dichiarazione d’amore di Enrico a Caterina di Francia.

La porta si chiude, scende il sipario: la fine di un uomo.

Ed ora il pathos del famoso discorso di Enrico nel giorno di San Crispino

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  1. antonella molinaro

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