Per il suo ultimo film La gomera, presentato al 72esimo Festival di Cannes e riproposto ai festival di Torino e Trieste, Corneliu Porumboiu ha scelto il vestito elegante, se non addirittura l’abito di gala; si fa infatti fatica a riconoscere dietro questa pellicola lo stesso autore che aveva confezionato A est di Bucarest o Il tesoro.
di Cristiano Salmaso
La gomera – L’isola dei fischi
Un poliziotto di nome Cristi fa la spola fra Bucarest e un’isola nelle Canarie: imparerà un linguaggio in codice, che la polizia non può intendere, per riuscire a far evadere un criminale e spartirsi il bottino con una donna bella e misteriosa: è questa l’estrema sintesi di un racconto a scatole cinesi, che si svelerà solo dopo aver imparato le regole del gioco.
La gomera lascia di primo acchito spaesati, perché complesso tanto nella sostanza dell’intreccio, quanto nella forma: spionaggio, poliziesco, giallo, thriller, azione, sono i continui cambi d’abito attraverso i quali si intesse una trama dove tutti vogliono fregare tutti, spettatore compreso; il gioco sta tanto nel trovare il bandolo della matassa, quanto nel riconoscere le diverse vesti che il regista rumeno si è divertito a tagliare. Tra citazioni di Tarantino (la scena nel capannone) e vere e proprie repliche (la doccia di Psyco), Porumboiu gioca con gli stilemi del classico noir, del gangster movie, dei thriller di Hitchcock: Catrinel Marlon è l’immancabile femme fatale (dall’emblematico nome Gilda), Vlad Ivanov ha invece quel volto che non può sorridere, che ricorda Humphrey Bogart o il Billy Bob Thornton de L’uomo che non c’era.
C’è addirittura il cinema stesso – inteso anche come luogo – ad entrare in questo film: Cristi da appuntamento al suo superiore in un cinema (dove poi lei resta a vedere il western che viene proiettato), i soldi della refurtiva sono nascosti in un set abbandonato, da una televisione un poliziesco sembra interagire con gli eventi del film.
A tutto questo si aggiunge la trovata sulla quale è costruita la storia, il linguaggio codificato che è necessario imparare per portare a termine il colpo; quando si potrebbe pensare che l’isola dei fischi sia il dettaglio di troppo, ecco che questa invenzione si rivela essere assolutamente vera: il linguaggio dei fischi, il silbo gomero, esiste ed è tuttora studiato e praticato dagli abitanti dell’isola La gomera.
Il trailer del film
Rischiando di risultare più uno sfoggio di eleganza che una pellicola destinata a far storia a sé, La gomera finisce per trovare un suo equilibrio proprio nelle origini del cinema di Porumboiu: scomparsi i modi spicci delle prime prove (realismo e minimalismo che caratterizzano i film della nouvelle vague rumena), restano i tratti irrinunciabili di un cinema che non dimentica da dove viene: nell’aria dell’est che si respira, ad esempio nelle inquadrature di Gilda affacciata sui tetti di Bucarest e poi nell’umorismo rumeno presente in diverse scene, che omaggia l’immaginario cinematografico da bulli e pupe ma poi lascia Cristi in balia del suo cuore.
Ed è dettaglio al limite del kitsch il finale esotico a Singapore, con Cristi che cammina sotto le luci del Gardens by the beach cercando Gilda; una conclusione visivamente forte che mette la forma davanti a tutto, come del resto l’intero film: il pavone fa la sua inutile ruota, ma noi tutti a guardare estasiati.