La scoperta dell’alba: se la telefonata ha un tocco Spielberghiano

Dopo essere stato presentato in anteprima all’ultimo Festival Internazionale del cinema di Roma nella categoria “Prospettive Italia”, domani 10 Gennaio viene distribuito in tutta Italia il nuovo film di Susanna Nicchiarelli con protagonista la sempre brava Margherita Buy. Tra dramma e commedia e con un pizzico di surreale arriva in sala La scoperta dell’alba. Ecco una doppia recensione in anteprima.

Trama

Siamo nel 1981. Lucio Astengo, padre di due bambine e docente presso l’università di Roma “La Sapienza”, scompare improvvisamente nel nulla. Pare sia stato rapito dalle Brigate Rosse che, pochi gironi prima, avevano ucciso il suo amico e collega Mario Tessandori.

Trent’anni dopo, una delle due figlie di Lucio, Caterina (Margherita Buy; Magnifica presenza, Il rosso e il blu), svuotando la casa dei genitori per venderla trova il vecchio telefono che, malgrado la linea staccata da tempo, pare funzioni e così…

Arte e confusione

di Luca Arcidiacono

Tratto dall’omonimo romanzo di Walter Veltroni, il titolo del film sembra già essere una sicurezza per la storia poiché risplende già di per sé. Poi però inizia il film. Ed alcuni dubbi iniziano a nascere.

Il film si estende in vari piani temporali miscelati tra il dramma e l’humor, tra una Margherita Buy che si allontana dal ruolo tipico di tradita depressa e diventa qui traditrice depressa e un Sergio Rubini, suo compagno stralunato, che porta avanti il lato più leggero della storia. Come lo fa la sorella di Caterina, interpretata dalla stessa Nicchiarelli, con la sottotrama di un amore con il chitarrista della sua band o la ricerca di Caterina e del suo compagno di una nuova casa.

Già però tutte queste piccole sottotrame non giovano di certo alla storia principale del film annullando, via via che la trama s’infittisce sempre più la narratività della stessa, giungendo alla fine della pellicola (con la fantastica ed azzeccata musica dei Subsonica che richiama il bellissimo titolo) senza alcuna commozione o emozione.

La soluzione

Al termine del film si ha la sensazione di aver assistito ad una pellicola italiana diversa dalle solite trame – tipo o di genere, una storia che avrebbe potuto elevarsi e distinguersi e che, sotto alcuni aspetti, poteva anche essere migliore della precedente della giovane regista (Il cosmonauta, 2009).

Ma sappiamo anche che così non è. Quell’insieme di humor leggero e dramma, quel rapporto con alcune realtà della nostra storia e quel pizzico di surreale che richiama i film di Spielberg non sono ben amalgamati tra di loro e non riescono a trovare quasi mai un giusto ritmo per proseguire serenamente nella narrazione e nel conquistare il pubblico.

Forse, quindi, se la storia sarebbe stata prodotta altrove, magari da qualche casa indipendente americana, allora sarebbe potuto diventare magari un piccolo cult da vedere e rivedere. Invece rimane un’opera riuscita a metà, tratta da un libro venduto ed elogiato dalla critica che rimane ad un livello più alto della sua trasposizione cinematografica.

Una ri-Scoperta dell’Alba al Femminile

di Vera Santillo

Tratto, o sarebbe meglio dire ispirato, al romanzo omonimo di Walter Veltroni, il secondo lugometraggio di Susanna Nicchiarelli, La scoperta dell’alba, rappresenta un bell’esempio di regia intesa come interpretazione ed appropriazione – che spesso deve anche essere indebita – del lavoro, di un’idea generata e sviluppata da un altro.

Un protagonista maschile con una casa, una famiglia forse non perfetta, un buon lavoro e una vita stabile quello del romanzo, una donna dalla vita in via di definizione, senza figli, in cerca di una nuova casa col compagno, Caterina, la protagonista del film che sembra essere stata creata pensando alla futura interprete, la più congeniale: un’ironico-tragica Margherita Buy.

Nell’Agosto del 1981, e anche qui la Nicchiarelli si allontana dal romanzo ambientato nel ’68, il professor Lucio Astengo padre di Caterina e Barbara, scompare nel nulla dopo l’assassinio dell’amico e collega Mario Tessandori. Trent’anni dopo, siamo nel 2011, le due sorelle decidono di vendere la casa al mare di famiglia lasciata in eredità dalla madre che è appena deceduta. Una casa che è stata testimone insieme alla famiglia Astengo di quegli anni difficili ancora funestati dal terrorismo e già proiettatti verso i colori pop e la spensierata agiatezza degli anni ’80.

Una casa che custodisce ricordi dolorosi: è qui che Caterina, Barbara e la madre ricevono la notizia dell’omicidio di Tessandori e il luogo in cui trascorrono l’ultimo giorno come una vera famiglia con Mario. Ed è proprio questa casa-custode che permette a Caterina di riallacciare i nodi di un’esistenza spezzata, di una famiglia distrutta. A pochi giorni dall’anniversario della scomparsa del padre, Caterina ritrova attaccato alla presa del telefono della casa al mare il vecchio apparecchio. Quasi per gioco compone il numero della vecchia casa di Roma e come per magia instaura un contatto con la se stessa di trent’anni prima, con la bambina seria e già troppo consapevole che a pochi giorni perderà suo padre.

Forse, fra i desideri più grandi ed irrealizzabili dell’uomo, molto più forte di quello di volare o di conoscere galassie sconosciute, c’è il desiderio di poter tornare indietro nel tempo per rimediare a un errore, per cambiare il presente, per indagare su un passato misterioso. E al cinema, meglio che in letteratura, i sogni più assurdi diventano possibili. Anche se solo per la durata di un incantesimo nel buio. Succede anche in questo caso. La storia di Caterina, la sorella maggiore responsabile e presaga e di Barbara l’indifesa ma non meno consapevole, ha permesso alla regista di ricreare un passato comune riconoscibile dallo spettatore, a partire da ricordi personali, da esperienze private, luoghi e oggetti che appartengono all’esistenza passata della regista e che inevitabilmente appartengono un po’ a tutti coloro i quali quegli anni li hanno vissuti. Le ha permesso di  ricreare, insomma, un immaginario collettivo, un passato condiviso.

Questo bisogno di ricostruzione del passato che abbiamo già incontrato in Cosmonauta e che si attua attraverso l’appropriazione, il calarsi completamente in un tempo lontano portandone alla luce i ricordi personali e privati che si collegano alla Storia con la s maiuscola, spiega la necessità della regista di essere anche interprete del film. Una necessità di sentire più proprio ciò che sta si sta facendo e di non cadere nella trappola di voler delineare un quadro fedele e obiettivo della Storia che è solo presunzione.

A partire da questo,  la regia della Nicchiarelli si fa attenta alla resa dei particolari, alla ricostruzione affettiva degli ambienti, delle abitudini (l’aerobica fatta in casa) dell’epoca, alla restituzione di oggetti simbolo come il telefono a disco, la boccia col pesce rosso nella stanza di Caterina, lo strumento musicale giocattolo di Barbara. Una fantascienza che si mette al servizio della ricostruzione storica e sociale di un’epoca a partire dall’esperienza privata. E sicuramente è questo bisogno di partecipazione, di attinenza personale alla storia che spiega la fluidità di certi movimenti di macchina, la preferenza della steadycam, l’uso del rallenty e della musica liquida e dilatata dei Gatto Ciliegia come strumenti necessari alla veicolazione di una buona dose di pathos e del coinvolgimento dello spettatore che più che seguire l’intrigo, il mistero da svelare, si compiace di rivedere e di rivedersi in un’altra epoca. Se, infatti, c’è qualcosa che convince meno del film, sta nella gestione della componente misteriosa, noir della storia e in un inizio troppo lento che attarda l’approdo all’evento scatenante, nelle sottotrame poco sviluppate e nei personaggi secondari che assolvono perfettamente la funzione umoristica di alleggerire l’atmosfera seria del racconto che però a tratti li limita.

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