L’estremo saluto alla donna amata on the road coniugando ricordi e tradizioni. Due recensioni in anteprima e i dettagli della conferenza stampa che Aleksei Fedorchenko ha tenuto ieri a Bari in occasione della presentazione del film.
La trama
Il film, tratto dal racconto “Gli zigoli” di Aist Sergeyev, narra di Miron (Yuri Tsurilo) – proprietario di una cartiera – che, rimasto vedovo, decide di dare l’ultimo saluto alla donna amata secondo la tradizione dei Merja, un’etnia del Lago Nero cui la coppia appartiene.
Così, chiede aiuto ad Aist (Igor Sergeyev), suo dipendente nonché migliore amico appassionato di scrittura. I due uomini di lì a poco si mettono in viaggio ed Aist porterà con sé una coppia di teneri ziguli, uccellini appartenenti alla famiglia dei passeri, per far loro compagnia durante il loro cammino e come fonte magica di protezione.
Durante questo viaggio è più che altro Miron a parlare. L’uomo, infatti, proprio come prevede la tradizione Merja, racconta e rivela al suo amico particolari anche molto intimi riguardo il suo matrimonio e il rapporto con la moglie Tanya (Yuliya Aug). Aist, dal canto suo, torna con la memoria al suo passato: ricorda i suoi genitori, la loro unione e ripensa al suo rapporto con la morte.
I due arrivano sulle sponde del Lago Nero dove verranno disperse le ceneri di Tanya e Miron pare capire di non essere stato l’unico ad aver amato la sua Tanya. Senza dirsi nulla la coppia di amici intraprende il viaggio di ritorno, verso le loro vite, verso le loro quotidianità.. di certo questo cammino li ha cambiati e saranno proprio gli ziguli a liberarli dal peso del loro passato e dei loro dolori facendoli ricongiungere con le persone che più hanno amato e amano proprio nel momento in cui riescono a fuggire dalla loro gabbia.
Un film che racconta le tradizioni
L’importanza di questo film sta nel focalizzarsi sulla tradizione e sottolineandone ogni aspetto. Con sapienza e dovizia di particolari il regista ci spiega e ci fa vedere in cosa consista l’etnia Merja e quali siano i suoi canoni, i suoi fondamenti. Tutto ci fa pensare che si tratti assolutamente di un rituale sacro, tramandato dai tempi dei tempi, e tutto conserva una certa e indiscussa solennità. Ci viene descritto e spiegato quale sia l’importanza della cremazione di un corpo, il perché della scelta proprio del Lago Nero e quale sia il significato dell’acqua. Nulla viene lasciato al caso e ogni cosa ci viene fatta capire con estrema semplicità senza per questo rendere la tradizione di questo popolo superata o troppo lontana da noi e dal nostro essere occidentali. Tutto ciò che viene mostrato, ogni gesto, ogni sguardo, lo stesso ambiente assume un aspetto quasi mistico, senza tempo, quasi surreale.. eppure assolutamente reale.
L’elemento “Acqua”
Strettamente legato alla tradizione Merja è l’elemento dell’Acqua simbolo della vita che scorre, che continua senza mai fermarsi, simbolo di speranza e simbolo di morte. In essa sono racchiusi l’Alfa e l’Omega di ogni di esistenza.. da essa si proviene e ad essa si torna sottoforma di cenere. Solo gli eletti possono tornare all’acqua: non tutti ne sono degni.. ma questi no sono in molti..tanto che i cimiteri, si dice nel film, son quasi tutti vuoti. È l’Acqua che dà origine alla Vita e che se la riprende o, se vuole, può anche restituire. È lì che tutto ha inizio ed sempre da lì che tutto trova la sua fine.
Un film originale
Il film presentato in concorso alla 67° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dove ha ottenuto il Premio Fipresci e il Premio Osella per il Miglior Contributo Tecnico alla Fotografia, vincitore dei Nika Awards per la Migliore Sceneggiatura e Miglior Colonna Sonora e del Mar De Platafilmfestival per la Migliore Sceneggiatura e Miglior Regia è senza dubbio un film che va visto e osservato con una certa attenzione.
Il regista Aleksei Fedorchenko è stato abilissimo e bravissimo nel creare e costruire questo film.. perfetto nella sua forma, nei suoi colori, nelle sue luci e nelle sue ombre.
Nulla avviene, si vede o si dice per caso. Ogni cosa è utile e indispensabile. Si è creata una perfetta catena di montaggio. È una sorta di funerale on the road e di certo questo è un tema che può sembrare, se non stravagante, di certo insolito. Ma conserva intatta la sua poesia. L’unica mancanza o spina nel fianco di questo film, a mio avviso, è l’aver mostrato – attraverso i racconti di Miron – solo un lato della povera Tanya e forse anche quello che si vorrebbe conoscere meno. E il fatto di cadere, poco dopo la cremazione del corpo di sua moglie, fra le braccia di una prostituta.. forse un po’ troppo prematuro. Ma questa osservazione probabilmente deriva dal fatto che noi occidentali non siamo avvezzi a ricordare in quel modo i nostri defunti.. o almeno siamo più reticenti a parlarne così liberamente.. per i Merja ciò equivale a rendere omaggio alla persona perduta, per noi sarebbe quasi uno sfregio e una mancanza di rispetto. Ma non per questo il film perde la sua poetica e la sua lugubre ma non luttuosa atmosfera.
Di certo è un film che insegna molto su una popolazione a noi totalmente sconosciuta e potrebbe essere una nuova chiave di volta per affrontare un dolore tanto acuto come quello della perdita di una persona amata
Il film presentato in concorso alla 67° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dove ha ottenuto il Premio Fipresci e il Premio Osella per il Miglior Contributo Tecnico alla Fotografia; vincitore dei Nika Awards per la Migliore Sceneggiatura e Miglior Colonna Sonora e del Mar De Platafilmfestival per la Migliore Sceneggiatura e Miglior Regia è senza dubbio un film che va visto e osservato con una certa attenzione.
Il regista Aleksei Fedorchenko è stato abilissimo e bravissimo nel creare e costruire questo film.. perfetto nella sua forma, nei suoi colori, nelle sue luci e nelle sue ombre.
Nulla avviene, si vede o si dice per caso. Ogni cosa è utile e indispensabile. Si è creata una perfetta catena di montaggio. È una sorta di funerale on the road e di certo questo è un tema che può sembrare, se non stravagante, di certo insolito. Ma conserva intatta la sua poesia. L’unica mancanza o spina nel fianco di questo film, a mio avviso, è l’aver mostrato – attraverso i racconti di Miron – solo un lato della povera Tanya e forse anche quello che si vorrebbe conoscere meno. E il fatto di cadere, poco dopo la cremazione del corpo di sua moglie, fra le braccia di una prostituta.. forse un po’ troppo prematuro. Ma questa osservazione probabilmente deriva dal fatto che noi occidentali non siamo avvezzi a ricordare in quel modo i nostri defunti.. o almeno siamo più reticenti a parlarne così liberamente.. per i Merja ciò equivale a rendere omaggio alla persona perduta, per noi sarebbe quasi uno sfregio e una mancanza di rispetto. Ma non per questo il film perde la sua poetica e la sua lugubre ma non luttuosa atmosfera.
Di certo è un film che insegna molto su una popolazione a noi totalmente sconosciuta e potrebbe essere una nuova chiave di volta per affrontare un dolore tanto acuto come quello della perdita di una persona amata.
E’ una bella storia, tenera, d’amore e di tradizione
di Flaminia Padua
La bocca secca, il silenzio nel sangue.
Dopo aver visto Silent souls mi sono sentita così.
Zitta per mezz’ora, ero come delicatamente imprigionata in un’atmosfera di muta poesia, di strana e viscerale riflessione.
Questa storia, infatti, annega le chiacchere superflue, le parole dette senza pensare, sotto l’acqua, elemento protagonista nel film.
Silent souls racconta di due amici, della morte di una donna dolce e della sua sepoltura secondo i costumi dei Merja, un’antica etnia ugro-finnica a cui i protagonisti appartengono.
E’ una bella storia, tenera, d’amore e di tradizione. Di un passato e di usanze tanto lontane dalle nostre e così sane, così maledettamente “pulite” da ricordarci cos’è la Nostalgia.
Attori superbi, affascinanti voci over, immagini complete, piene. Niente è spiegato, tutto è sottointeso tra silenzi, paesaggi e piccoli gesti. Ma il significato, profondo e spiazzante, arriva immediato.
Senza farti troppo male.
Per la prima volta, da quando scrivo recensioni, non sento il bisogno di dilungarmi troppo in aggettivi, in spiegazioni. Anzi. Il senso mi sembra scritto negli spazi bianchi tra una riga d’inchiostro e l’altra.
Questo film, infatti è “tra le righe”. E’ più puro perfino delle parole.
Perciò, il mio unico consiglio è di andare al cinema. Ad ascoltare gli spazi bianchi.
La conferenza stampa a Bari
di Alessandra Nenna
Un continuo addio: a una persona cara, a ciò che di prezioso rappresenta il nostro piccolo mondo, e ancora a un popolo, alle sue radici culturali, alla sua lingua. Per chi non può fare a meno delle etichette, Silent Soul di Aleksei Fedorchenko potrebbe essere definito “cinema antropologico” dal sapore documentaristico, ma per il regista russo è una storia che, seppur nell’omaggio alla cultura Merja, un’antica tribù ugro-finnica del lago Nero, in verità racconta della scomparsa di una persona amata.
Silent Soul, a partire da oggi, venerdì 25 maggio, inaugura la nuova programmazione di D’autore, il circuito delle sale di qualità di Apulia Film Commission (in contemporanea all’Abc di Bari, DB d’Essai di Lecce, Sala Farina di Foggia, Multisala Roma di Andria), è stato presentato alla stampa ieri mattina al cinema Abc di Bari dove con il regista sono intervenuti Antonella Gaeta, presidente di Apulia Film Commission, Angelo Ceglie, direttore artistico di D’Autore, e Cesare Fragnelli per Microcinema, società di distribuzione del film.
Entusiasta Ceglie di poter aprire questa nuova tranche di D’Autore “con una pellicola di grande rigore formale e di profondità contenutistica”. Silent Soul, proposto alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2010 e vincitore del “Premio Fipresci” della critica internazionale e del “Mouse d’oro” di quella on line, rappresenta un debutto ufficiale e prestigioso anche per Microcinema che proprio dal circuito pugliese partirà per un “tour” di 21 settimane che si proporrà fino all’estate coinvolgendo quattro cinecircoli, ma soprattutto “quei cinema d’essai – dice Fragnelli – che in Italia resistono. Sono le sale, prosegue il regista pugliese – che andrebbero aiutate a sopravvivere nello sforzo di presentare un cinema che educhi il pubblico a visioni alternative e forse, la nostra Italia sarebbe migliore”.
Film raro e profondissimo per la presidente Antonella Gaeta “che usa l’idea dell’acqua per parlare di vita e di morte in una forma così vicina alla letterarietà di cui siamo da tempo orfani”.
La storia, ha spiegato il regista – vede il contributo alla sceneggiatura dell’amico scrittore Denis Osokin. “The Buntings, titolo originale del romanzo di Aist Sergeyev (pseudonimo di Osokin) è stato scritto nel 2006, ma ci abbiamo messo tre anni per trovare i soldi per realizzarlo. L’idea nacque – prosegue Fedorchenko – a Denis quando in un mercato vide due uccellini in gabbia. Non li comprò, ma fu lì che decise di scriverci su una storia”. Buntings significa infatti uccellini, passeri, e i due zigoli sono anch’essi protagonisti perché accompagnano simbolicamente e concretamente il viaggio dei due amici Aist (Igor Sergeyev) e Miron (Yuri Tsurilo) che celebrano il rituale funebre di Tanya (Yuliya Aug), moglie di quest’ultimo.
“Il popolo dei Merja – ha poi aggiunto il regista – era equiparato ai russi e slavi. Vivevano nella regione del Volga e ancora nel XV secolo erano al servizio dei signori del luogo; nel XVI secolo è morta l’ultima persona che parlava la loro lingua. Questo film è stata per me l’occasione di avvicinare riti, culture e un modo che ci cammina accanto, ma lontano dal nostro. Ha intrigato il mio occhio di documentarista e di persona che ama raccontare cose agli adulti, ma non può essere la storia di un popolo di cui è rimasta solo qualche denominazione geografica; mi piace più pensare che sia un film pagano con una matrice cristiana.
Ogni religione è magnifica nel suo far riferimento all’amore ed è questa la sua universalità. Ho ricevuto premi da un’associazione cattolica italiana e ad Abu Dhabi a dimostrazione che la religione non è importante. Durante la presentazione di un festival americano mi si è avvicinato un indiano dicendo che il film parla di una cultura che lo riguarda da molto vicino, e lo stesso un operatore catalano a Venezia. E’ quello che mi piace di più del film che può parlare qualunque altra lingua. La prossima storia, pur se non girata nel Bel Paese potrebbe riguardare dei pescatori italiani che vivono in Istria, al confine tra Slovenia e Croazia”.
Chissà che qualche scorcio della nostra versatile Puglia non lo convinca a cambiare location…